Si fa sempre più strada l’idea di un secondo referendum sulla Brexit. Il governo del Regno Unito sta attraversando un vero e proprio tornado in queste ultime settimane, e le cose potrebbero addirittura peggiorare nel futuro prossimo, visto che l’11 gennaio si terrà il voto del Parlamento sull’accordo con l’UE, e secondo i bookmaker Theresa May potrebbe venire sconfitta in maniera plateale. Amber Rudd, segretario di stato per il lavoro e le pensioni, ha parlato nelle scorse ai microfoni di ITV, caldeggiando la via del secondo referendum: «Non voglio un voto popolare o un nuovo referendum, ma se il parlamento non riuscisse ad ottenere il consenso, il voto sarebbe sicuramente un argomento plausibile. Il Parlamento deve ottenere la maggioranza sull’uscita dall’Unione europea – ribadisce la Rudd – se ciò non avvenisse si potrebbe indire un nuovo referendum nonostante il dissenso di molti mie colleghi». Owen Smith, attivista pro Unione Europea e supporter di un nuovo referendum, ha commentato le parole della Rudd dicendo: «E’ il primo membro dei Tory a dire che preferirebbe un nuovo voto popolare piuttosto che un catastrofico “no-deal”, ma potrebbe non essere l’ultimo…». (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
BREXIT, GLI EFFETTI DEL MANCATO ACCORDO
Nel caso che la Brexit portasse ad un vicolo cieco, il tanto esorcizzato no-deal, le conseguenze e le linee guida dell’Ue sono molteplici e tutt’altro che definite: mentre in Parlamento Labour e Tory continuano a litigare (non si è ancora placata la bufera sulle presunte parole di Corbyn contro la premier May, ndr), i diplomatici inglesi ed europei stanno cercando di capire quali potrebbero essere i veri effetti del mancato accordo. Se entro il 29 marzo 2019 non si avrà la Brexit “soft”, allora i beni in arrivo dalla Gran Bretagna verso l’Ue potranno essere soggetti a controlli doganali: i camion potranno continuare a trafficare liberamente fino alla fine del 2019 ma soltanto se Londra garantirà lo stesso trattamento. Gli animali domestici dei cittadini inglesi e altre bestie non potranno più entrare liberamente in Ue; da ultimo, le concessioni aeree e ferroviarie a compagnie britanniche non sarebbero più valide con effetto immediato. Lo spauracchio del no-deal ora si può intuire ancor di più perché sia concepito come tale dal Regno Unito e dalla stessa Commissione Ue: tutti si stanno preparando al peggio e nessuno, ancora, è in grado di portare un significativo passo in avanti verso un accordo in extremis che possa salvare “capre e cavoli” tanto nel Governo inglese quanto nella già indebolita Unione Europea che si avvicina alle Elezioni nel prossimo maggio.
LITE CORBYN-MAY: “STUPID WOMAN”, BUFERA SUL LEADER LABOUR
E inevitabile arriva anche la polemica in Parlamento dopo i trascorsi già piuttosto esplosivi negli scorsi giorni: dopo la mozione di sfiducia proposta da Jeremy Corbyn, in aula la Premier May attacca a testa bassa il suo avversario politico avvertendolo – a muso duro – che «nel tuo partito hai tanti che vogliono tradirti, guardati dietro le spalle». Appena inquadrato in primo piano dalle telecamere del Parlamento Uk, il leader dei laburisti sembra lasciarsi scappare dal labiale «stupid woman». Apriti cielo, di colpo monta la polemica via social tanto che lo stesso Corbyn è costretto a far dire dal suo portavoce stampa, «non intendeva dire stupid woman bensì “stupid people” riferito ai colleghi dei Tory». Il danno ormai era fatto e compiuto e la figura comunicativa del leader Labour assai “compromessa” in questa delicatissima fase parlamentare: in mezzo un accordo, quello sulla Brexit, che di polemica in polemica non viene quasi mai trattato a fondo con relative problematiche. Una situazione molto “italiana” che però sta letteralmente paralizzando, questa volta, il sistema politico inglese..
LE INDUSTRIE: “BASTA CHIACCHIERE, SERVE L’ACCORDO”
A circa 100 giorni dalla Brexit, le industrie della Gran Bretagna alzano la voce, chiedendo al governo di accelerare i tempi e di definire l’accordo con l’Unione Europea, tralasciando le divergenze interne. La Cbi, la British Chambers of Commerce, la Eef e l’Institute of Directors, le cinque maggiori organizzazioni dei datori di lavoro, scrivono: «Abbiamo guardato con orrore i politici concentrarsi su dispute tra fazioni invece delle misure pratiche che servono alle imprese. La mancanza di progressi a Westminster significa che il rischio di un no deal Brexit sta aumentando. La responsabilità di stabilire i passi successivi – aggiungono – ed evitare l’incertezza è nelle mani dei 650 parlamentari». Le organizzazione delle imprese britanniche temono quindi un “no deal”, che stando agli esperti sarebbe disastroso per la stessa Gran Bretagna. Il governo sta comunque preparandosi al peggio, ed avrebbe assegnato 2 miliardi di sterline in più ai vari ministeri, con l’aggiunta di 3.500 soldati in stand-by, nel caso in cui si verificassero blocchi alle frontiere e caos nei trasporti. (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
BREXIT: IL FUTURO E’ INCERTO
La Brexit vive sostanzialmente di due percorsi finora alquanto paralleli: il fronte politico, con il Parlamento inglese vicino all’implosione contro la Premier May per un accordo che non arriva (per cui il no-deal resta l’ipotesi sempre più probabile) e dall’altro il fronte sociale, con le conseguenze e le misure che dovranno essere studiate nel dettaglio una volta che effettivamente la Gran Bretagna uscirà definitivamente dall’Unione Europea. Ecco che i teorici della Hard Brexit e i “realisti” del no-deal stanno cercando di capire cosa succederebbe qualora non si arrivasse per davvero ad un accordo di ratifica a Londra sul piano di Brexit messo a punto da May e dai 27 Paesi Ue: la stretta sugli ingrassi in Regno Unito è un primo studio in corso d’opera ma è notizia di oggi anche la possibilità di visti di lavoro – per i cittadini Ue – temporanei e limitati a solo un anno. Diverse restrizioni e limitazioni che intendono rendere più effettiva l’uscita dall’Unione e più complesso l’ingresso nei confini inglesi per i cittadini comunitari.
LE MISURE DI LONDRA PER “LIMITARE” L’IMMIGRAZIONE IN UE
Per i lavoratori specializzati che dimostreranno un salario garantito di minimo 30mila sterline all’anno, la durata del visto sarà invece di 5 anni: per tutti gli altri invece il visto resta di un solo anno stando alle indicazioni del “libro bianco” sull’immigrazione post-Brexit che il Governo May si appresa a presentare tramite il Segretario degli Interni Sajid Javid. «Non fisseremo oggi la soglia precisa» ha specificato lo stesso Javid alla Bbc «Ce ne sarà una ma è importante consultare ascoltare le aziende per trovare quella giusta». Insomma, ulteriori discussioni sono ovviamente ancora previste – anche perché la May spera sempre di portare in cascina il voto di ratifica dopo un “miracoloso” sforzo diplomatico nelle prossime settimane – ma al momento le polemiche sulle prime misure decise dal Governo stanno subissando i politici britannici: sono tantissimi i datori di lavoro in Regno Unito – compreso il Servizio sanitario nazionale – che hanno contestato la soglia di 30.000 sterline. A loro dire, tale misura «limiterebbe gravemente la loro capacità di assumere cittadini europei come ad esempio gli infermieri».