Il discorso di Xi Jinping per il quarantennale della svolta impressa da Deng Xiaoping alla società cinese sembrerebbe presagire la volontà di rilanciare con forza la sfida cinese alla leadership americana. La Cina flette i muscoli e il mondo guarda impaurito. Questo sembra essere l’atteggiamento di gran parte dei commentatori dopo che Xi in modo stentoreo ha dichiarato che “Nessuno può dire alla Cina quello che deve fare”.
In realtà, quando si tratta di Cina, bisogna essere attenti a non dare giudizi definitivi, a non cadere, cioè, nel gioco di ombre che generalmente accompagna la diplomazia cinese. Storicamente sono poche le reali discontinuità nella politica cinese. Quindi, vedere nel discorso di Xi un salto di qualità nella sfida agli Usa rischia di mettere in secondo piano le sue linee caratterizzanti sul lungo periodo.
Per questo motivo risulta importante capire a chi realmente si è rivolto Xi. Molto probabilmente il presidente ha voluto, in un dialogo ideale con Deng Xiaoping, dare alla propria leadership uno standing di livello superiore a quello di chi l’ha proceduto. In un certo senso, l’obiettivo di raggiungere una “modernizzata Nazione socialista” ed edificare “un nuovo miracolo, persino più grande, che impressionerà il mondo”, rappresenta il quinto e più importante stadio delle “quattro modernizzazioni” di cui parlava Deng. Usare come chiave interpretativa quella che privilegia la rivalità fra le due superpotenze rischia di far passare in secondo piano quelli che al momento sembrano i reali scopi di Xi, ovvero i problemi di politica interna e i timori verso il futuro.
In questo quadro, la politica di potenza è la proiezione su scala globale delle aspirazioni e delle paure cinesi. L’espansione cinese attraverso le Vie della seta marine e terrestri non rappresenta un fine in sé, lo strumento con cui scalzare gli Usa da mercati strategici, piuttosto il mezzo per trovare uno sbocco per gli eccezionali volumi di produzione interna e al contempo per sostenere l’espansione naturale del mercato interno. Progetto ricco di pericoli e dal futuro non del tutto chiaro.
L’estensione delle nuove Vie della seta espone la Cina all’influenza diretta di potenze regionali come l’India e la Russia, con cui in qualche modo bisogna venire a patti. In questa prospettiva, le Vie della seta e la strategia “del filo di perle” hanno una doppia valenza, di proiezione sui mercati, ma anche difensiva nei confronti degli Usa, che continuano a controllare, direttamente o indirettamente, i principali snodi del commercio internazionale. Inoltre, l’evoluzione della quarta rivoluzione industriale porterà al rafforzamento delle economie regionali in grado di produrre velocemente e in loco prodotti che attualmente vengono importati dalla Cina.
Al riguardo Xi, nel suo discorso, non ha mancato di palesare la possibilità che il futuro possa presentare rischi di “tempeste improvvise”, la cui origine può essere sia esogena che endogena e di cui risulta difficile immaginare gli esiti.
Con il discorso di Xi, la Cina entra ufficialmente nell’epoca dell’incertezza e lo fa a modo suo, mostrandosi forte in quello che forse è il primo vero momento di debolezza. La lotta per il potere all’interno del Pcc, le incessanti trasformazioni che attraversano la società cinese e la questione di Taiwan rimangono problemi aperti, che possono generare una serie di varianti difficilmente governabili. Per Xi l’aver accentuato gli aspetti più personalistici della propria leadership rappresenta la risposta più immediata a questioni che, nel breve periodo, non possono avere un’immediata soluzione.
Ora che il rischio delle guerre commerciali con gli Usa sembra sfumato – rischio più presente nella fantasia di certi commentatori più attenti a celebrare le virtù del libero mercato che alla realtà – e che la strategia neo-protezionista di Trump sembra dare i suoi frutti, la presidenza di Xi, celebrando i propri successi, reagisce in un modo tradizionale per la cultura cinese, ovvero rispondendo ai pericoli del presente proiettandosi nel futuro: “il miracolo che impressionerà il mondo” di cui ha parlato il presidente cinese.
A questo proposito, è particolarmente significativa la dichiarazione di Xi riguardo all’egemonia globale, un obiettivo a cui realmente la Cina non ha mai puntato e che la riporta sul piano ufficiale a quella che è da sempre la visione cinese delle relazioni internazionali, ovvero alla prospettiva di un sistema multipolare. Si tratta, in definitiva, dell’unico contesto in cui il gigante asiatico può prosperare e far valere la propria potenza, poiché soltanto in un sistema del genere la Cina può sfruttare il suo vantaggio strategico, ovvero la capacità connaturata di ragionare sul lungo periodo pianificando le proprie strategie di sviluppo e puntando a un’espansione naturale del mercato. Una strategia che, per funzionare, deve porsi al riparo dalle turbolenze che caratterizzano la fase attuale.
Chi si aspettava una sfida aperta all’egemonia Usa deve ricredersi. La successione di egemonie diverse, che ha caratterizzato la dinamica dell’espansione europea, rappresenta un’esperienza connaturata alla storia del mondo occidentale, che, come strumento d’analisi, non è adeguato per comprendere la fase attuale della globalizzazione.
Fare previsioni sul futuro non è di certo un’impresa agevole, ma il mondo che ci aspetta è troppo grande e complesso per avere un solo padrone. Se verterà sulle certezze di un sistema multipolare basato sul mercato regolamentato, come sperano i cinesi, oppure sugli equilibri mutevoli e incerti di un direttorio composto dalle tre grandi potenze globali — Usa, Cina e Russia — è la grande questione dei prossimi anni, che solo lo svolgersi concreto della competizione globale e l’evoluzione della storia politica ed economica potranno aiutarci a risolvere.