Putin è un grande comunicatore. Grande ma in perfetta malafede. Nel recente discorso sullo stato del Paese di fronte a centinaia di giornalisti è riuscito a rivolgersi al suo elettorato parlando di economia e di sicurezza, nonché di rischio di proliferazione e di scontro militare con armi nucleari in Europa. Come vedremo, la questione cruciale non era di certo questa: la paura da parte del presidente russo di una guerra nucleare è ben lontana dall’essere reale. Ma da abile comunicatore qual è ha fatto in modo che essa apparisse il suo cruccio principale. Figuriamoci…



Putin ha parlato di economia e di sicurezza, dicevo. Partiamo da qui.

Di economia: ha colpito soprattutto il riferimento alla crescita dell’1,7% del Pil, nonostante l’embargo. Non solo: il presidente russo ha voluto gonfiare i muscoli, e dire che la Russia merita di stare tra le cinque maggiori potenze economiche del mondo e non al dodicesimo posto che occupa ora. Bisogna lavorare perché Mosca raggiunga un simile traguardo. 



Ma come fare per raggiungerlo? Occorre precisare che l’economia russa è pesantemente controllata dallo Stato, e con Putin è sempre stata orientata agli oligopoli, più facili da gestire. Come è più facile controllare gli stranieri che investono in Russia e a cui non a caso si offrono grandi opportunità garantendo una tassazione minima. 

Ma la vera ricchezza della Russia sono gli idrocarburi, rimanendo il resto uno specchietto per le allodole. E nei paesi produttori di idrocarburi la crescita può variare immensamente di anno in anno. Si pensi ai casi dei paesi dell’ex Urss dove, dai tempi dell’indipendenza da Mosca, il Pil è passato da un più 9% ad un più 1% a seconda dei valori di mercato del gas e del petrolio. O a seconda degli embarghi, come appunto nel caso della Russia attuale. 



Putin sembra dimenticare insomma che la sua forza sta (quasi) tutta nel petrolio-gas e nel suo prezzo, nonché nella sua capacità di trovare nuovi mercati, se l’Occidente si chiude a riccio. 

Una crescita dell’1,7% al netto dell’embargo per il primo produttore al mondo di petrolio suona comunque ridicola. Soprattutto alle orecchie degli esperti, i quali possono mettere a confronto la Russia con la Cina, la quale cresce molto di più pur non avendo dalla sua le immense riserve di idrocarburi di Mosca (e subendo al posto dell’embargo i dazi). E’ evidente che Putin con quella cifra — più 1,7% — parlava al suo elettorato per farlo sognare, come quando auspicava una Russia tra le cinque maggiori economie del mondo. 

E poi, cosa significa un posto in classifica del genere? Si tratta solo di un simbolo ovviamente: il numero cinque ricorda quello dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza all’Onu, al cui gruppo la Russia appartiene a pieno titolo. Viceversa, significherebbe avere il Pil dell’attuale quinta economia del pianeta, ossia la Francia, un po’ poco per un paese come la Russia che occupa un territorio 25 volte più grande di quello (tutto compreso) dei cugini d’oltralpe e che da decenni vede il suo nemico naturale negli Usa. 

E qui ci avviciniamo al secondo aspetto del problema. La questione di cosa voglia rappresentare la Russia nel mondo, al di là della narrazione putiniana sull’economia. 

La Russia non potrà diventare una vera, grande potenza economica con Putin al potere. Egli desidera il controllo del paese, e può mantenerlo evitando di creare un libero mercato la cui crescita metta in crisi un sistema oligopolista su cui è fondata la sua forza. E vuole anche detenere il controllo di vaste zone del mondo per gestire, creandole o bloccandole, le crisi internazionali che del traffico di petrolio e del suo valore sono i pedali. 

Il solo modo per mettere assieme le due cose è quello di sostenere l’unico apparato industriale che per definizione è soggetto allo Stato, e non solo in Russia, ossia quello militare, apparato fatto apposta per l’esercizio della forza dentro e fuori i confini nazionali.

La Russia è il secondo produttore di armi al mondo dopo gli Usa, nonché il secondo esportatore. Qui sta la sua vera forza a livello globale, che è pure quella di chi può intervenire con le armi in qualsiasi zona del mondo, accendendo o spegnendo i focolai di crisi legate ai flussi di petrolio. Chi vende (o usa) armi non fa solo questo, apre canali privilegiati, instaura rapporti con governi spesso malintenzionati, desiderosi per lo più di fare quanto si è detto, comprare armi e garantirsi un amico potente in caso di necessità. 

La Russia non è potente sul piano economico, l’ho già sottolineato. Lo è sul piano militare, e, per porsi allo stesso livello degli Usa agli occhi del mondo, Putin parla di forza nucleare. Parla di armi inconcepibili. Armi modernissime che sfuggono ai radar per aria e per acqua. Armi che pregiudicano la superiorità della flotta militare americana, quella fondata sui dieci gruppi da battaglia sparsi per gli oceani con a capo una portaerei gigante ciascuno. Armi che fanno sognare perché capaci di mettere paura a tutti, Stati Uniti in primis, rivoluzionando il modo di combattere le guerre. 

Da un lato ciò richiama l’attenzione internazionale sulle armi russe e la loro qualità nel loro insieme, comprese le armi convenzionali voglio dire, potendo solo in pochi, tra i governi stranieri, permettersi, per varie ragioni, gli ordigni atomici. E questo a favorire le uniche importanti esportazioni russe (a parte gas e petrolio). Dall’altro ciò agisce sulla capacità di Mosca di influire su vaste zone del mondo, i cui governi possono decidere di mettersi sotto la sua protezione sia comprando armi che spesso richiedono personale russo per la manutenzione (se non per l’utilizzo), sia semplicemente proponendo un’alleanza in chiave antioccidentale (o cinese, ecc.), essendo la Russia in grado di agire da scudo contro qualsiasi nemico, come sta dimostrando con chiarezza il caso siriano. E tutto questo, una volta di più, allo scopo di gestire innanzitutto, con le rotte delle armi, le rotte ancora più preziose del petrolio su cui si fonda la vera forza di Mosca. Quella che permette a Putin di avere il controllo della situazione in alcune zone del mondo, e di conseguenza il consenso di coloro a cui paga gli stipendi, a partire dai salari dei militari.

Quando Putin ha sostenuto di voler rendere la Russia un’economia forte lo ha fatto per fornire una speranza ad un popolo che ha sempre guardato all’Europa come ad un modello, non certo alla Cina. Ma l’1,7% di crescita è una sciocchezza rispetto a quanto sarebbe necessario a Mosca, anche se non lo è rispetto allo sviluppo dei paesi europei con cui non a caso può essere utile confrontarsi sotto tale aspetto (con la Cina e la sua crescita al 9%, no). Dimenticando però che gli europei possiedono un’economia matura e avanzata, al contrario della Russia (e pure della Cina), un’economia che infatti non è fondata sulle esportazioni di idrocarburi, un’economia insomma con margini di crescita necessariamente modesti. 

E’ ovvio che Putin non ha nessuna intenzione di scontrarsi davvero con l’Occidente: non ne avrebbe motivo. Quello che vuole fare è garantirsi mano libera, e capire sino a che punto può spingersi sulla strada della provocazione antioccidentale quando lo ritenga necessario, come in Ucraina, e in tutte quelle zone del mondo dove l’influenza della Russia, con il suo apparato militare sempre più potente, svolga una funzione utile per scopi interni.