“Il prossimo anno non sarà, da un punto di vista politico, diverso o migliore di questo che sta finendo. Sappiamo che continueremo a vivere nella stessa situazione e che non possiamo cambiarla. Ma possiamo cambiare il modo in cui noi la viviamo nel nostro piccolo contesto. Continuiamo a essere cristiani orgogliosi, felici e gioiosi, pronti ad annunciare nella nostra vita che noi apparteniamo a qualcuno, Gesù, nato a Betlemme, diventato vita in noi”. È l’augurio che monsignor Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme, ha indirizzato ai fedeli nel suo video-messaggio di Natale. “Dovunque vediamo violenza, problemi politici e tensioni – ha detto l’arcivescovo –. Tutto questo non è nuovo. A volte ci chiediamo perché parlare di gioia, speranza e pace quando viviamo in un contesto dove non ci sono né pace, né gioia, né speranza. Solo retorica? Solo slogan? No. Non sono slogan. Noi cristiani abbiamo Gesù, Gesù è la nostra gioia, la nostra speranza e la nostra pace. Se davvero viviamo in Lui e Lui in noi questa è la nostra realtà. Pace, gioia e speranza le viviamo come esperienza personale”.
Monsignor Pizzaballa, lei nei giorni scorsi ha ricevuto a Gerusalemme il Thomas More International Award 2018 “per il suo impegno, incessante e instancabile, profuso per la difesa del ‘diritto di cittadinanza’, contro ogni estremismo e a tutela delle minoranze cristiane, in un contesto difficile e pericoloso quale quello mediorientale”. Il Medio Oriente infatti fatica a trovare pace, anzi all’orizzonte si stagliano nuove minacce, in un teatro di guerra sempre più cruento e complicato. E la situazione dei popoli, dalla Striscia di Gaza alla Siria, si fa sempre più drammatica e pesante. Che cosa possono testimoniare i cristiani? E che contributo può e deve dare la Chiesa?
È chiaro che la Chiesa non è in condizione di modificare questo difficile e triste quadro politico. E comunque non è questo il suo ruolo. La Chiesa non fa politica diretta, non entra a discutere di confini, terra ed equilibri politici, economici, energetici… Ma è certo compito della Chiesa fare politica nel senso alto della parola: ricordare quali siano i criteri di equità, giustizia, dignità della persona, diritti delle minoranze, di cittadinanza. Oltre a parlare con parresia di diritti e di doveri, è compito della Chiesa suscitare nel territorio iniziative di solidarietà, comunione, condivisione. Ed è quello che facciamo attraverso le tante attività tradizionali, come scuole e ospedali, ma anche con nuove iniziative sorte in questi ultimi anni in supporto ai milioni di rifugiati, profughi e immigrati prodotti da questi drammatici cambiamenti politici.
Il Mediterraneo e l’Europa stanno diventando sempre più un muro. Ma il Papa invita a gettare ponti, a non avere paura dei migranti. In Italia c’è chi addirittura invita a non preparare il presepe, perché è un simbolo di accoglienza, di condivisione, di apertura all’altro. Che ne pensa? Che cosa può sciogliere un cuore duro? Come si fa vera accoglienza e vera integrazione?
Ad ogni Natale è ormai rituale la polemica sul presepe, sul significato di questa festa, con gli schieramenti da una parte e dall’altra. Il Natale è Gesù Cristo. È la celebrazione del più grande dei misteri, l’incarnazione di Dio. Se accogliamo questo mistero sul serio, se è vera esperienza di vita, avremo anche i criteri di lettura di quanto accade attorno a noi, l’orientamento e l’atteggiamento corretto per affrontare ogni situazione. Cristo è tutto in tutti. Non c’è nulla della realtà dell’uomo che non interessi al cristiano, non c’è nulla che non si possa fare, senza schieramenti e contrapposizioni da una parte e dall’altra, senza puntare il dito, senza paura di perdere nulla della propria esperienza culturale e religiosa.
Venendo alla Terra Santa, a maggio 2018 è stata inaugurata la nuova ambasciata americana, che Trump ha deciso di spostare da Tel Aviv a Gerusalemme. Che conseguenze ha comportato questa decisione?
Sul piano pratico nulla. Dal punto di vista politico è stata interpretata dai palestinesi come una presa di posizione unilaterale a favore di Israele. Questo ha interrotto il rapporto tra statunitensi e palestinesi e reso il rapporto tra Israele e i palestinesi praticamente nullo, con conseguenze sul territorio evidenti a tutti.
“Il modello negoziale del passato non esiste più, bisogna trovare nuovi canali di dialogo” ha dichiarato lei qualche mese fa parlando della questione palestinese. Da dove può ripartire la spinta al negoziato, che oggi sembra inesorabilmente esaurita? La soluzione “due popoli, due Stati” è ancora la più auspicabile?
Non sono in grado di rispondere puntualmente a questa domanda, perché non spetta a noi – grazie a Dio – il difficilissimo compito del negoziato. Posso, però, dire che qualsiasi soluzione dovrà avere il consenso popolare di entrambe le popolazioni. Il passato ha dimostrato ampiamente che le soluzioni a tavolino non hanno funzionato. Quale che sia, la soluzione che definisca le prospettive di israeliani e palestinesi dovrà avere il loro consenso. Senza di esso, non ci sarà alcuna soluzione reale ed effettiva.
“Sappiamo bene che non vi è possibile visitare Betlemme con noi, così siamo venuti qui per celebrare il Natale con voi”: così lei ha salutato la piccola comunità cattolica di Gaza, raccolta nella parrocchia della Sacra Famiglia domenica scorsa per celebrare il Natale. “Durante l’Avvento – ha aggiunto – ascoltiamo sempre parole di pace e gioia che però non vediamo nella nostra realtà quotidiana” e “per rendere queste parole vive dobbiamo avere fede”. E ha concluso: “Il Natale è il tempo che rafforza la nostra fede per fare cose fruttuose che prima non esistevano”. Quali frutti possono maturare in Terra Santa?
I frutti dell’incontro con Cristo che viene a noi sono sempre gli stessi ovunque, e la Terra Santa non fa eccezione. Essi, infatti, toccano il cuore dell’uomo e vanno alla radice delle relazioni umane: amore, condivisione, perdono; la certezza di una vita donata e che nessuno ti può togliere, nemmeno la morte. Quando si fa questa esperienza, la comunità fiorisce e produce iniziative, attività e occasioni che sono frutto della propria esperienza. Concretamente lo vediamo nelle tante iniziative, assai superiori al numero reale dei cristiani, sia a Gaza che nel resto della Terra Santa: scuole, ospedali, gemellaggi, case per bambini in difficoltà; sostegno ai profughi, ai carcerati; attività di promozione della giustizia, aiuto legale a difesa dei diritti dei poveri… Potrei continuare ancora a lungo. Sono tante le iniziative nelle quali la comunità cristiana è coinvolta. Questo sta a dire che, nonostante i nostri tanti piccoli e grandi problemi, siamo ancora capaci – per grazia più che per merito – di dare espressione alla Vita che è in noi. Natale è anche questo.
(Marco Biscella)