A chi la accusa di aver “ingannato” il Parlamento con la bozza di accordo sul divorzio dalla Ue – ovvero quel parere legale che in queste ore rischia di inguaiare definitivamente la posizione della leader Tory – la premier May replica direttamente alla Casa dei Comuni: «Questo non è un piano di negoziato dell’Ue contro il Regno Unito. E’ il nostro impegno, in quanto Governo, verso il popolo dell’Irlanda del Nord. Ha detto che la rassicurazione politica che non ci saranno confini fisici è sufficiente per dare alle persone sicurezza nel futuro. Io dico di no, quello che le persone vogliono sapere è che sia applicato l’accordo. Non deve essere il backstop,le relazioni future si occuperanno di questo, l’estensione del periodo di transizione potrebbe o altri accordi possono occuparsene ma le persone devono sapere che c’è questo impegno nei confronti del popolo dell’Irlanda Nord, che non ci sarà nessun confine fisico». Intanto dopo Blair arriva un parere molto simile in merito alla necessità di un secondo referendum sulla Brexit: è quello di Enrico Letta, ex premier italiano e oggi direttore dell’Institut d’etudes politiques – Sciences Po di Parigi che a Radio 1 racconta «Credo che il No Deal sia la cosa più improbabile di tutte. Dovranno trovare un altra soluzione, sia al loro interno che con Bruxelles. Non è escluso che comincino a pensare di fermare gli orologi e prendere più tempo o a pensare a un secondo referendum. […] Credo che più l’impasse parlamentare blocca tutte le diverse soluzioni negoziali e più alla fine il secondo referendum sarà quasi obbligatorio. Il voto è stato molto stretto – 48 a 52 – e non riescono a trovare il modo di applicare quel voto».
PARERE LEGALE INGUAIA LA MAY
Il primo effetto dopo la sconfitta bruciante della premier May nel triplice voto di ieri, è la presentazione del parere legale raccolto dall’attorney general Geoffrey Cox: si valuta l’impatto dell’accordo di divorzio dall’Ue, è una sorta di atto dovuto ma rappresenta un nuovo possibile “guaio” per il Governo in attesa del decisivo voto del prossimo 11 dicembre. Il vero problema è il cosiddetto “backstop”, ovvero la clausola di salvaguardia introdotta per evitare il ritorno ad un confine fisico tra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord: tale misura prevede il mantenimento del dell’unione doganale tra Unione Europea e Regno Unito e secondo il parere legale presentato in dal questa mattina il rischio forte è che tale periodo di transizione «possa durare indefinitamente», fino almeno quando si avrà un nuovo accordo sulle relazioni tra Regno Unito e Bruxelles. Nota ancora Cox come tale situazione «potrebbe rendere poi Londra soggetta a protratti e ripetuti round negoziali sull’accordo definitivo sulle relazioni future». La premier Tory, accusata di non aver previsto tale opzione in maniera seria, ha risposto nel Question Time che «non nego ci sia quella clausola ma l’intenzione per entrambe le parti è che non si faccia entrare il backstop in vigore».
BLAIR: “SECONDO REFERENDUM UNICO MODO PER USCIRE DA IMPASSE”
Secondo l’ex premier Tony Blair – in una lunga intervista al Sole 24 ore – l’unico modo per superare l’impasse in cui il Governo May si è “cacciato” dopo l’accordo sulla Brexit con l’Ue è quello di ritornare al voto: un secondo referendum «darà l’opportunità ai cittadini di scegliere ancora una volta se uscire radicalmente dall’Unione Europea o rimanere». Secondo l’ex leader Labour, non dare la possibilità di decidere «creerebbe un senso di smarrimento a quei milioni di britannici che ancora oggi credono nell’Europa». È stato chiesto poi all’ex premier se avrà un ruolo specifico e “chiave” in questa fase pre-voto dell’11 dicembre, ma al momento Blair non vuole “sostituirsi” al leader Corbyn nel dettare la linea in Parlamento (almeno a livello pubblico, ndr): «Immagino che io sia l’ultima persona che lui ascolterebbe. Non sono un esperto dell’attuale leadership del Labour party – ha ironizzato facendo ben capire la sua distanza attuale dal capo dei riformisti – ma credo che in caso di referendum sosterrà apertamente la linea del Remain».
LE TRE SCONFITTE DELLA PREMIER
Prosegue il dibattito sulla Brexit in Gran Bretagna, con la premier Theresa May ormai con le spalle al muro. L’undici dicembre si terrà la votazione finale sull’accordo, e sono molti colori convinti che alla fine scoppierà il caos, con il primo ministro che verrà delegittimato. Basta leggere i tabloid britannici di oggi per capirlo. Il Telegraph, commentando le tre sconfitte di ieri a Westminster, scrive «Umiliazione di dimensioni storiche della premier». Simile il pensiero del Mirror, che commenta le recenti vicende con le parole: «Debole e in lacrime, ormai senza autorità». Questo invece il pensiero del Daily Express, forse il più ottimistico dei tre: «L’accordo dell’instancabile May è l’unica garanzia che Brexit ci sia davvero». A questo punto sono tutti in attesa del famoso 11 dicembre, giorno in cui l’accordo per la Brexit verrà messo ai voti. In caso di esito negativo si potrebbero aprire nuovi scenari, come ad esempio un nuovo referendum nazionale o eventualmente nuovi negoziati, ma in ogni caso sarà il caos. (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
BREXIT, GOVERNO MAY BATTUTO
Il Governo May viene “battuto” alla House of Commons sempre sull’accordo della Brexit, non proprio il miglior esordio per l’inizio del dibattito in vista del voto finale del 11 dicembre prossimo: come riporta la Bbc, la Camera dei Comuni ha approvato una mozione di censura (promossa dal Labour contro il governo Tory) per «la mancata pubblicazione integrale del parere legale sull’accordo di divorzio dall’Ue raggiunto dalla premier con Bruxelles». I Comuni hanno approvato un emendamento anti-Governo con 22 voti a favore più della maggioranza che di fatto pone un “veto” sull’ipotetico no-deal: come ben spiega l’Ansa, «Il testo, promosso dal dissidente Tory Dominic Grieve col sostegno dell’opposizione laburista, lega di fatto le mani all’esecutivo in caso di bocciatura dell’intesa presentata dalla premier, attribuendo al Parlamento voce in capitolo su qualunque opzione successiva». Nel frattempo la premier May, parlando ai colleghi in parlamento, spiega che l’approvazione dell’accordo di Brexit «significa rispettare la volontà popolare espressa dal referendum»; non solo, per la premier – ora con le “mani legate” dopo il voto dei “ribelli Tory” assieme al Labour – questo voto «servirà per far restituire al Regno Unito il controllo della sua sovranità e riunire il Paese».
UIV: “SERVE MERCATO STABILE CON 2 ANNI DI TRANSIZIONE”
La Brexit preoccupa l’Europa ma anche la Uiv. Infatti, l’Unione Italiana Vini chiede un accordo per il mercato stabile che non danneggi le imprese, come sottolineato dal presidente Ernesto Abbona all’Ansa: «Per il vino italiano la ‘piazza’ anglosassone ha una valenza particolare, in quanto è il terzo sbocco di mercato con circa 3 milioni di ettolitri esportati e un fatturato di circa 800 milioni di euro ogni anno». Prosegue il viticoltore piemontese: «La speranza di tutto il settore vitivinicolo è che con l’accordo siano definiti scenari certi, perché le imprese possano investire in contesti economici stabili, nei quali le regole e le procedure siano chiare, consolidate e condivise. Pertanto, auspichiamo si giunga ad un testo che assicuri un periodo di transizione di due anni. In generale, però, le aziende si abituino a pensare a Uk come a un Paese extra-Ue». (Aggiornamento di Massimo Balsamo)
IL COMMENTO DI MERVYN KING
La Brexit si appresta ad essere votata in Parlamento, ma nel frattempo proseguono le bordate nei confronti dell’accordo che la prima ministra britannica Theresa May ha raggiunto con l’Unione Europea. L’ultimo ad uscire allo scoperto è Mervyn King, ex governatore della banca d’Inghilterra, che ha paragonato il “deal” della May alla creazione del partito nazista negli anni ’30. Secondo King, come riferito in un’intervista a Bloomberg, l’accordo di maggio è una «confusa subordinazione perpetua da cui il Regno Unito non potrà mai ritirarsi senza l’approvazione dell’Unione Europea». Secondo King, il governo May si sarebbe dovuto subito organizzare nelle settimane successive al referendum del 2016, per lavorare all’accordo, ma invece lo stesso «ha fatto finta che l’intesa potesse essere rinviata, una decisione che si è rivelata disastrosa». Per King, con il passare dei mesi si la situazione si è trasformata da “project fear” a “project impossibile”, ovvero, da pauroso a impossibile. Per ,’ex numero uno della banca inglese, si tratta di «Una incompetenza su scala monumentale». (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
BREXIT REVOCABILE: SPUNTA L’ARTICOLO 50
L’Articolo 50 fa ancora discutere all’interno dei board diplomatici tra Unione Europea e Londra: di certo, il parere della Corte di Giustizia Ue che ha “informato” gli inglesi della possibilità di revocare quando si vuole l’accordo di Brexit pesa sul futuro e imminente voto in Parlamento (dato sempre più come una polveriera anche all’interno degli stessi banchi della maggioranza Tory): «è importante che non si creino ostacoli alla continua appartenenza all’Unione: se uno Stato membro decide di uscire deve poter cambiare idea, così da poter favorire un avanzamento del processo di integrazione», ha spiegato ancora stamane l’avvocato generale Campos Sanchez-Bordona. Intanto, sul fronte inglese, la Premier Theresa May non intende mollare lo “scettro” anche qualora il suo accordo non dovesse essere approvato dalla Casa dei Comuni: «Il mio compito è garantire che il governo faccia quello che la gente ci ha chiesto, cioè la Brexit. Non mi dimetterò se l’11 dicembre Westminster dovesse bocciare l’accordo».
CORTE UE: “LONDRA PUÒ REVOCARE L’ACCORDO DI USCITA”
Una mano tesa, potremmo dirla così, quella data dalla Corte di Giustizia Europea verso il Regno Unito di Theresa May ad una settimana dal voto decisivo in Parlamento sulla Brexit: l’avvocato generale della Corte Ue Campos Sánchez-Bordona ha spiegato questa mattina come l’articolo 50 del Trattato di Lisbona a cui Londra si è appellata per uscire dall’Unione Europea, «può essere revocato unilateralmente da chi l’ha invocato senza il voto favorevole degli altri stati membri». Un cavillo, certamente, che però potrebbe rivelarsi assai utile alla May qualora il voto in Parlamento non andasse proprio come immaginato e allora ci si dovesse indirizzare in quel “piano B” finora solo nominato ma mai veramente immaginato. L’avvocato – che è anche uno dei più importanti consiglieri della Corte di Giustizia Ue – ha intimato Londra a “meditare” sul fatto che per tornare indietro dalla Brexit c’è sempre tempo fino al voto finale sull’accordo di ritiro.
BREXIT, TRA UNA SETTIMANA IL VOTO DECISIVO IN PARLAMENTO
A portare il caso davanti alla Corte erano stati alcuni politici inglesi e scozzesi che volevano “puntare” ad un secondo referendum sulla Brexit per provare a fare “marcia indietro” e non lasciare più lo spazio di un addio all’Unione Europea che al momento riveste molti più problemi che vantaggi. Molto arduo che la May possa “fare” tale passo dopo aver detto in tutte le salse che «il voto del 2016 non è in discussione», ma il Parlamento è una polveriera e il voto del 11 dicembre è cosparso di nebbia e dubbi tali da non poter escludere alcuna possibilità nelle segrete stanze di Downing Street. Al momento, il Regno Unito dovrebbe lasciare la Ue il 29 marzo 2019 e la May vuole far approvare la sua bozza di accordo siglata anche dai 27 Paesi dell’Europa: manca però il dato finale, ovvero l’accordo nel Governo e con le opposizioni. Il che, ad oggi, è tutt’altro che scontato.