Lo scontro interno al Governo Tory è serrato: «Meglio il no deal di questo accordo di May», spiega a Repubblica il parlamentare unionista Sammy Wilson del Dup, il partito del’Irlanda del Nord che con i suoi 10 sparuti membri riesce a far tenerezza maggioranza alla May. Fino ad ora, quantomeno: dopo il parere legale e il “backstop” su Belfast che rischia di tenere “ricattata” Londra davanti alla Ue, anche gli unionisti si ribellano alla Premier e rischiano il secondo fronte di “falchi” che potrebbero far saltare il banco del voto il prossimo 11 dicembre. «Non le permetteremo di separare l’Irlanda del Nord dal Regno Unito», spiega il 65enne del Dup che da settimane minaccia di far cadere il Governo se non si trova un migliore accordo per divorziare da Bruxelles. «C’è il rischio che cresca sempre di più la polarizzazione politica e sociale nell’avvicinarsi della data dell’uscita del Regno Unito dall’Ue», scrivono oggi allarmati addirittura i vescovi irlandesi in una nota dedicata al rischio Brexit. La situazione è sempre più grave a livello politico e rischia di esserlo anche sul fronte social, per questo la Chiesa d’Irlanda non vuole rimanere “ferma”: «L’appello è quindi a tutti coloro che sono incaricati della pesante responsabilità di prendere decisioni politiche al servizio del bene comune, perché lavorino insieme per massimizzare la possibilità della certezza e dell’accordo, andando oltre l’interesse personale, di partito e persino nazionale».
LA TRAPPOLA DELLA BREXIT
Dire “May-day” mai fu scelta più azzeccata se qualche titolata dei tabloid inglesi fosse all’ascolto in questo momento: il parere legale dato ieri in Parlamento sulla Brexit ha se possibile inguaiato ancora di più il piano – già piuttosto inclinato – della Primo Ministro inglese. Quella possibilità di rimanere “ancorati all’infinito” all’Unione Europea qualora non si trovi un accordo sul divorzio “breve” tra Bruxelles e Londra ha messo con le spalle al muro la May, sempre più invisa non solo dalle opposizioni ma anche dagli “hard brexiters” e ormai da gran parte del suo stesso partito. «L’attuale bozza di protocollo non prevede un meccanismo che consenta al Regno Unito di uscire legalmente dall’unione doganale in assenza di un accordo», spiegava ieri l’avvocatura generale dello Stato (nella persona del fortemente pro-Brexit Geoffrey Cox), di fatto lanciando in “pasto” alla Casa dei Comuni la n.1 di Downing Street, accusata di aver «venduto l’Inghilterra e di star ricattando il Parlamento» per ottenere il voto agognato dell’11 dicembre prossimo.
IL “NODO” IRLANDA DEL NORD
Ora proprio quel passaggio delicatissimo di martedì prossimo alla House of Commons rischia di diventare la “Waterloo” di Theresa May in attesa che il percorso sulla Brexit si delinei meglio, visto che ora è nel caos più totale: «C’è il rischio legale continua il documento che tutto il Regno Unito possa rimanere soggetto a protratte e ripetute serie di negoziazioni» spiegava ancora il parere legale resosi obbligato nella presentazione integrale dopo che la stessa May lo aveva nominato solo per sommi capi salvo poi essere tacciata di “oltraggio” dal Parlamento. Il vero nodo, oltre alle possibili “infinite” negoziazioni che terrebbero fino alla fine il Regno Unito ancorato all’Unione Europea, riguarda ancora una volta l’Irlanda del Nord: fra le righe della lunga bozza di accordo siglata dai 27 Paesi Ue e attesa dal giudizio dei parlamentari inglesi, si legge che Belfast rimarrebbe nell’unione doganale e nel mercato unico Ue in base al meccanismo di “backstop”, pretese dalla Unione Europea a garanzia del “confine aperto” con Dublino. I “falchi” come Boris Johnson tra i conservatori e gli alleati della destra unionista nordirlandese del Dup (che finora garantiscono la tenuta del Governo May) ora hanno un motivo “solare” per attaccare la Premier di aver “ricattato” Londra tradendo il vero senso della Brexit. La battaglia fino all’11 dicembre sarà lunghissima e l’impressione che non finisca tutto lì è sempre più “consistente”..