Con il passare dei giorni si accumulano dettagli e indiscrezioni sulla fine drammatica riservata al giornalista dissidente Jamal Khashoggi. Negli audio prima del delitto si udirebbero le ultime parole del reporter “Non posso respirare”. Ma a fare ancora più impressione, secondo la trascrizione degli stessi audio riferita da una fonte informata sull’inchiesta sarebbero i rumori legati all’operazione di smembramento con una sega del corpo di Khashoggi ad opera dei suoi aguzzini, a loro volta distratti dal suono della musica. Come spiega Repubblica, la trascrizione, sempre secondo la medesima fonte, suggerisce ancora di alcune misteriose telefonate fatte per informare qualcuno sull’esito dell’operazione. Gli inquirenti che indagano sull’omicidio del giornalista non escludono che i destinatari delle telefonate possano essere proprio alcuni alti dirigenti di Riad coinvolti nel caso. (Aggiornamento di Emanuela Longo)



LE SUE PAROLE PRIMA DEL DELITTO “NON RESPIRO”

Emergono ulteriori dettagli choc in merito alla drammatica fine di Jamal Khashoggi, il giornalista saudita dissidente ucciso nel consolato di Istanbul. A riportarli, come spiega oggi Repubblica.it, è la Cnn che cita una fonte informata sull’indagine legata all’omicidio del reporter e che sarebbe entrata in possesso della trascrizione relativa agli audio contenenti le sue ultime parole prima di essere ucciso. Il suo delitto, secondo quanto riferito dalla fonte, non sarebbe affatto da considerarsi come la tragica conseguenza di un tentativo di sequestro mal gestito e finito in tragedia bensì di una esecuzione ben premeditata nei minimi dettagli. Secondo quanto contenuto negli audio, Khashoggi avrebbe lottato contro il gruppo di soggetti che voleva ucciderlo: “Non posso respirare!”, avrebbe pronunciato il giornalista. Sempre secondo la trascrizione, il reporter sarebbe stato smembrato con una sega, stando ai rumori riferiti, mentre agli aguzzini viene consigliato di ascoltare musica per non sentire gli atroci rumori. (Aggiornamento di Emanuela Longo)



RAPPORTI STRETTI FRA L’HACKING TEAM E I SAUDITI

Vi sarebbe anche un’azienda italiana coinvolta, seppur indirettamente, nell’omicidio di Jamal Khashoggi. Lo rivela quest’oggi l’autorevole Washington Post, che tira in ballo la Hacking Team, società milanese con sede a Cipro, specializzata nella cyber security. «Riteniamo che combattere il crimine dovrebbe essere semplice – si legge sullo spazio web della stessa azienda – forniamo una tecnologia offensiva efficace e di facile utilizzo alle community di polizia e intelligence e di tutto il mondo, usata da oltre 50 principali istituzioni governative per indagini cruciali in più di 35 paesi». La collaborazione fra i sauditi e la Hacking Team sarebbe iniziata nel 2013, una partnership che avrebbe permesso al principe Mohammed bin Salman di tenere sotto controllo i terroristi e nel contempo i dissidenti. La stessa azienda milanese sarebbe stata di fatto “salvata” dai sauditi nel 2015, quando Wikileaks diffuse alcune rivelazioni in merito alle attività di spionaggio proprio dell’HT: «Il rapporto tra Hacking Team e l’Arabia Saudita – scrive il Washington Postè diventato così forte che quando la società italiana si è trovata in difficoltà economiche nel 2015 dopo la diffusione dei documenti da parte di WikiLeaks apparentemente sono intervenuti investitori sauditi». Il condizionale è comunque d’obbligo e al momento non è stata trovata alcuna prova diretta del coinvolgimento di HT nell’assassinio di Khashoggi. (aggiornamento di Davide Giancristofaro)



KHASHOGGI: LA MILANESE HACKING TEAM TIRATA IN BALLO

C’è anche la tecnologia italiana coinvolta nel caso riguardante l’omicidio di Jamal Khashoggi. Stando alle ultime rivelazioni effettuate dal quotidiano Washington Post, il giornale per cui la stessa vittima lavorava, la milanese Hacking team sarebbe tra le aziende che hanno contribuito a potenziare l’arsenale cibernetico saudita, che il principe ereditario Mohammed bin Salman ha spesso e volentieri utilizzato contro i terroristi ma anche contro i dissidenti. L’azienda nel mirino del Wp, come sottolinea l’edizione online di Repubblica, ha creato il trojan Rcs Galileo, un virus che è in grado di spiare a distanza dati e info di computer e smartphone. Il condizionale resta d’obbligo visto che David Ignatius, l’autorevole autore dell’articolo del quotidiano di Washington, non fornisce prove certe sul fatto che Galileo sia stato utilizzato per spiare Khashoggi, fatto sta che vi sarebbe il forte sospetto che Mbs lo abbia utilizzato per fini “sinistri”.

KHASHOGGI: COINVOLTA AZIENDA ITALIANA?

Certe cose fanno infatti riflettere, a cominciare dal fatto che il 20 per cento del pacchetto azionario dell’azienda milanese, con sede a Cipro, sarebbe di proprietà proprio dei sauditi. Secondo il quotidiano di Washington in questa cyber guerra la figura centrale sarebbe quella di Saud al-Qathani, ex membro dell’aeronautica militare saudita, nonché uno dei più stretti collaboratori del principe ereditario, già indicato dalle autorità turche fra i principali responsabili dell’omicidio Khashoggi. E qui torna di nuovo in campo la Hacking Team, che avrebbe lavorato a braccetto proprio con al-Qathani, che nel contempo ha messo in moto un articolato sistema di sorveglianza e di manipolazione dei social media, di modo da poter sopprimere facilmente i nemici di Mbs. Nel 2013, ad esempio, lo stesso braccio destro del principe ottenne dall’azienda italiana degli strumenti per penetrare gli iPhone e gli iPads, che a detta degli esperti sono praticamente inviolabili, e un paio di anni dopo volle anche software per entrare negli Android, stando a quanto riferito da Wikileaks.