La questione cipriota è ritornata alla luce dopo troppo tempo in cui è rimasta, silente, a minacciare un plesso geostrategico di enorme importanza. Nel triangolo turco-greco-cipriota si incrociano le sorti tanto delle nuove risorse energetiche mediterranee destinate a ridisegnare i rapporti di potenza tra Russia ed Europa, con l’Orso che perde gran parte del suo potere di negoziazione rispetto all’Europa del Sud, quanto della sicurezza atlantica ed europea con il declino della capacità compulsiva della Nato che dimostra di non saper più controllare uno dei suoi storici componenti al confine tra Europa del Sud e Heartland con tutte le conseguenze immense che ne debbono scaturire.
E infine la crisi cipriota insegna che i tempi storici sono diversi, ossia che il tempo ancora non è giunto per la cosiddetta difesa europea: l’esercito franco-tedesco a integrazione italiana è in ritardo rispetto al tempo dello spirito assoluto, servirebbe oggi ma non c’è e quindi il destino europeo possibile – ossia di governare l’imbocco della via per controllare l’Heartland – non può inverarsi con conseguenze esiziali per la riproducibilità del sistema tecnocratico e funzionale europeo e con conseguente aggravio dei fattori di rischio e di crisi prossima. I nodi vengono al pettine.
L’indipendenza di Cipro fu conquistata armi alla mano dagli insorti greci e dal loro capo politico fine diplomatico, l’Arcivescovo Makarios, ortodosso e nazionalista come tutto il clero ortodosso, con il Trattato di Zurigo del 19 febbraio 1959. Un Trattato di Alleanza e un Trattato di Garanzia consegnavano il futuro della Repubblica di Cipro a quello delle potenze protettrici, ossia a Regno Unito, Grecia e Turchia. Senza il loro consenso, non sarebbe stato possibile riformare la Costituzione o cambiare la natura dello Stato, e ovviamente non sarebbe stata possibile la énosis, ossia la riunificazione di Cipro alla Grecia, ch’era l’ obbiettivo degli insorti. Una vittoria dimidiata, dunque.
Nel 1961 la Repubblica di Cipro entrò nel Commonwealth, così da ben definire chi comandava nell’isola e non solo per le basi militari del Regno Unito che ancora fanno bella mostra di sé ad Akrotiri e Dhekelia (256 km² in tutto), vicine a Larnaca e a Limassol, in funzione di controllo sul Medio Oriente e il confine meridionale dell’Unione Sovietica, mentre sul Monte Olimpo e i principali capi dell’isola furono e sono riservati a uso militare, punteggiati di antenne anglo-americane. Di qui un insanabile conflitto permanente con la Turchia che già si era vista sottrarre in quel plesso di terre e di mari l’isola di Creta allorché nel 1898 essa si unì alla Grecia.
Questo fu forse l’unico rilevante risultato raggiunto dal Regno Unito in un Mediterraneo che aveva visto per secoli il suo ruolo egemonico, in conflitto con i francesi, certo, ma sicuramente in funzione egemonica nel Golfo e nelle terre mesopotamiche, dalla cui sfera di influenza si ritirò non a caso proprio nel 1963, con conseguenze di una tale gravità che solo oggi possiamo misurare, perché di fatto quel ruolo di civilizzazione e di istituzionalizzazione non è mai stato più ricoperto da nessuno, tanto meno dagli Usa e dall’Urss e oggi dalla Russia.
Cipro fu tuttavia territorialmente divisa solo nel 1974, quando la Guardia nazionale cipriota e la giunta militare al governo in Grecia – il “regime dei colonnelli” – organizzarono un colpo di stato. Il presidente cipriota, l’Arcivescovo Makarios, fu deposto. In risposta al colpo di stato, il 20 luglio 1974 la Turchia invase Cipro occupandone il nord e insediandone guarnigioni militari che non fece altro che via via incrementare sino ai 50.000 uomini attuali. Nel 1983 fu proclamata la Repubblica Turca di Cipro, riconosciuta solo dalla Turchia; la Repubblica Greca di Cipro, di contro, è riconosciuta da tutti gli stati che siedono all’Onu tranne che dalla Turchia e dal maggio 2004 fa parte dell’Unione europea. Nel dicembre 2002, infatti, l’Ue invitò formalmente Cipro ad aderire all’Ue, insistendo che la partecipazione si sarebbe certo applicata all’isola intera, sperando che ciò fornisse un incentivo significativo per la riunificazione. Ma l’Europa sbagliava clamorosamente disvelando di non conoscere a fondo la situazione cipriota.
Un piano delle Nazioni Unite promosso dal segretario generale Kofi Annan, fu sottoposto a entrambe le comunità in referendum separati il 24 aprile 2004. Furono proprio i greci a respingere il progetto di unificazione, mentre la comunità turca vi aderiva invece calorosamente riconoscendo in esso una prospettiva di riappacificazione con l’Europa e la cancellazione delle polemiche che s’erano scatenate in Germania e in Francia determinando l’ostilità generale dell’opinione pubblica europea contro la Turchia e la sua intransigente posizione storicamente contraria alla riunificazione di Cipro. La motivazione preponderante contro l’unificazione – addotta da parte greca – fu quella che il programma di Annan non prevedeva né il ritorno di tutti i rifugiati greco-ciprioti nelle loro case, né il rinvio in Turchia di tutti i coloni turchi, né il ritiro di tutte le truppe turche di occupazione, né la smilitarizzazione dell’isola.
Nel valutare il risultato è anche interessante notare che mentre ai coloni turchi (che compongono la maggior parte degli abitanti del nord occupato) fu permesso votare, i rifugiati che erano fuggiti da Cipro per i disordini violentissimi non ne ebbero il diritto in un referendum che infine avrebbe determinato il loro futuro (il loro diritto di ritornare in possesso delle loro proprietà). Nel maggio 2004, Cipro è entrata nell’Ue, anche se in pratica ciò si applica soltanto alla parte del sud dell’isola. Nel riconoscimento del sostegno della Comunità cipriota turca alla riunificazione, l’Ue aveva indicato chiaramente che concessioni commerciali sarebbero state raggiunte per stimolare lo sviluppo economico nel nord e che sarebbe rimasto l’impegno a una riunificazione in termini accettabili.
Finora i negoziati per la riunificazione di Cipro sono sempre falliti. La Turchia rivendica tra l’altro il controllo su una parte della Zona economica esclusiva attorno alle coste, compreso il blocco sorto in questi giorni agli altari della notorietà e in cui l’Eni dovrebbe condurre le esplorazioni. Gli interessi sono moltissimi, visto che la zona è ricca di giacimenti. La Zona economica esclusiva è un’area del mare in cui uno Stato ha diritti sovrani per la gestione delle risorse naturali e in cui ha giurisdizione in materia di ricerca scientifica. Ma la situazione attuale dimostra che, come fu sempre nei momenti topici della storia cipriota del secondo dopoguerra, decisiva è l’egemonia degli Usa nel Mediterraneo. Essa un tempo, dopo il declino del Regno Unito, non soffriva di sbavature o veniva messa in discussione, come oggi invece accade con una non completa integrazione militare tra l’Europa alla ricerca di una sua identità delle armi e una grande nazione come gli Usa alla ricerca di una stabilità politica interna che non ne faccia diminuire il potere di ordinamento gerarchico dell’ordine internazionale.
Questo potere di ordinamento gerarchico internazionale è importantissimo in zone ad altissima frammentazione com’è sempre stata la via di accesso all’Heartland, ossia il Nord Africa e il plesso di potenze regionali mesopotamiche oggi distrutto e dall’incerta ricostruzione e dove la Turchia ha costruito un potenziale egemonico neo-ottomano che è costituzionalmente distruttivo del sistema di pesi e di rilevanze in un complesso di nazioni e di stati che oggi – per le guerre nordamericane (ossia promosse dagli Usa) – distruttrici delle vertebre dell’ordine – ossia eserciti e polizie – sono state tremendamente de-istituzionalizzate
In questo orizzonte le questioni energetiche e non solo quella off-shore mediterranea sono ridivenute centrali. Ma esse necessitano della riscrittura dell’ordine di gerarchia nella zona. E questo può solo essere fatto con l’ accordo tra Usa e Russia. Tutta la storia di Cipro dimostra questo mio assunto. Tutto il resto sono piume che volteggiano nell’aria.
Terminato che fu il riparo che l’ombrello americano offriva dai fuochi accecanti e perso il contatto tra Turchia e Nato dopo il tentativo di colpo di Stato – che Ankara sospetta sia stato alimentato dagli Stati Uniti – tutto l’ordine politico è imploso. La Russia è stabilizzante per un verso, ma per un altro verso è destabilizzante. Tutto tornerebbe in equilibrio se americani e russi decidessero di lavorare insieme. Potrebbero convincere i turchi ad abbassare i toni e Netanyahu ad avere atteggiamenti comunque attenti vista la presenza sempre minacciosa dell’Iran. Mentre lo sfruttamento dei giacimenti potrebbe essere fatto in modo congiunto facendo intervenire non solo compagnie già esistenti – Eni, Total e russi -, ma anche coinvolgendo interessi israeliani, turchi e libanesi. Le soluzioni sono quelle che ci insegna la grande contrattualistica del petrolio e del gas: quando non si trova un accordo a somma zero occorre trovare un accordo a somma multipla in cui lavorando insieme tutti guadagnano qualcosa.
Quello che invece suona terribile è il silenzio dell’Europa. La Farnesina ha preso una posizione troppo debole: Gentiloni incontra Erdogan e dopo poco quest’ultimo dà ordine di fermare con delle navi militari la Saipem 12000 che è una nave italiana. Incredibile, nessuno può credere alla casualità dell’evento.