Tutto il potere a Xi. Il comitato centrale del partito comunista cinese ha proposto di abolire il limite di due mandati per il presidente della Repubblica popolare previsto dalla Costituzione. Una riforma voluta da Xi Jinping, che a marzo sarà eletto per il secondo quinquennio consecutivo. Nel 2023 potrà quindi continuare, se sarà rieletto, a fare il presidente. La Cina è al bivio tra una nuova dittatura e una riforma politica imponente, spiega da Pechino Francesco Sisci, editorialista di Asia Times e docente nella Renmin University of China. 



Come si arriva a questa riforma?

Il limite dei due mandati fu introdotto nel 1982, quando Deng Xiaoping mise mano alla ristrutturazione del potere cinese. Si volle evitare un’eccessiva concentrazione di potere nelle mani di un solo uomo, come era stato per Mao, che aveva deciso da solo le sorti della Cina dal 1949 al ’76. Dopo la fine della banda dei Quattro, Deng assunse il governo nel ’78 e varò una riforma dello Stato.



E cosa fece Deng?

Il potere, prima concentrato nella figura del leader, venne disperso decentrandolo in mille rivoli, tra ministeri, province, distretti, città. Vista dalla distanza, la proliferazione dei centri di potere e la loro relativa autonomia ha voluto dire due cose. La prima, ed è un merito, è aver posto le basi per l’esplosione economica della Cina.

Il secondo aspetto?

E’ negativo, ed è la ragione che ha indotto Xi a voltare pagina. La dispersione del potere ha determinato una sorta di feudalizzazione della Cina e un incremento vertiginoso della corruzione. Negli ultimi trent’anni il governo centrale ha dovuto contrattare tutte le direttive con i poteri locali, una galassia di centri decisionali dotati ormai di vita propria. Questo, ripeto, all’inizio andava bene per lanciare lo sviluppo che conosciamo. 



Ma poi la classe dirigente ha arricchito se stessa.

Sì. Trent’anni dopo è risultato evidente che la corruzione, divenuta endemica e capillare, ha ostacolato l’impresa. E il costo sociale di questa proliferazione del potere è aumentato via via fino a superare i vantaggi. 

Deng voltò pagina rispetto al maoismo. Xi, riconcentrando il potere, vuol essere il nuovo Mao?

La riconduzione del potere al centro sarà simile per certi versi a quella di Mao del ’49, ma con una differenza decisiva: quando Mao prende il potere la Cina è un paese distrutto, una tabula rasa dilaniata dalla guerra civile e un nano sul piano internazionale. Oggi è una potenza mondiale e ha una classe media sviluppata e forte.

Xi Jinping nella sua riforma si ispira a una dottrina politica?

Intende governare secondo la legge. Apparentemente sembra una cosa semplice, ma la Cina è un mondo con regole sue proprie. Xi vuole combattere la corruzione che ha divorato lo Stato e introdurre un sistema integralmente legale. Questo cosa comporta? Dovremo aspettare e vedere. Per ora sappiamo che Xi ha fissato un orizzonte temporale: nel 2020 comincerà una nuova fase lunga 15 anni di sviluppo del paese. I prossimi due anno sono di preparazione per questa crescita definita “economica, sociale, politica e di civiltà”. 

Qual è lo scopo del ri-accentramento?

Risponde essenzialmente ad una necessità di efficienza nella conduzione della macchina statale. Fino a ieri le 30 province della Cina, ovvero 2mila distretti ciascuno dai 50mila ai 2-3 milioni di abitanti, potevano opporsi ai governi centrali, avevano una polizia autonoma, si prendevano ampi margini nell’applicare le direttive di Pechino. Questi poteri di fatto, già potati, saranno ulteriormente ridotti. 

La riforma costerà a Xi Jinping molti nemici.

Si è guadagnato l’opposizione di milioni di quadri intermedi. Attualmente lo scontro è aperto, da ambo le parti, ma Xi ha lanciato un segnale fortissimo: ha fatto mettere sotto inchiesta per corruzione il figlio di Wen Jiabao, suo alleato e amico. E’ la prima volta che la famiglia di un ex primo ministro viene coinvolta in un’inchiesta anticorruzione.

E’ inevitabile che ambienti esterni e interni vedano in riforma un passo concreto verso la dittatura di Xi. 

Ci sono motivi per leggerla in questo modo, apparentemente è innegabile, tuttavia quello che abbiamo detto fa capire che il problema è molto più complesso. Si può però dire, in effetti, che la Cina è al bivio tra una nuova dittatura e una riforma politica importante.

Ci sono buoni motivi per dire che non si andrà nella prima direzione?

Sì, perché una tale concentrazione di potere o la si ridistribuisce nel tempo in modo nuovo, oppure è destinata a scoppiare nelle mani di chiunque. E questo Xi Jinping lo sa benissimo.

(Federico Ferraù)