Prima un incontro di 50 minuti con papa Francesco, il primo da 59 anni di un capo di stato turco, poi con il presidente Mattarella e con il presidente del Consiglio Gentiloni. Temi in agenda, l’Europa e i rapporti bilaterali. Sono stati questi i tre momenti salienti della visita del presidente turco Recep Tayyip Erdogan a Roma, insieme alla cena di ieri sera con gli imprenditori italiani. A Castel Sant’Angelo c’è stato un sit-in di protesta organizzato dalla Rete Kurdistan, segnato da alcuni scontri con le forze dell’ordine. Una visita di Stato controversa, sia per le scelte in materia di libertà e diritti compiute da Erdogan dopo il colpo di Stato del 2016, sia per quanto sta accadendo sul fronte siriano. Ne abbiamo parlato con la scrittrice turca Nihal Batdal.



Che cosa interessava di più a Erdogan? Incontrare il Papa o stringere le relazioni bilaterali con l’Italia?

Credo che il motivo principale sia economico. Ma anche incontrare il Papa è stata una scelta politica, visto che si tratta del capo dello Stato Vaticano e non solo di una figura religiosa. Non saprei dire perché abbia scelto proprio questo momento; vuole comunque sanare le relazioni con l’Europa. 



Che cosa vede Erdogan nell’Europa?

Solo ciò che ha visto da sempre: una possibile partnership economica e strategica. 

Da tempo Erdogan mira alla leadership islamica sul Medio oriente. Come si concilia nella sua strategia questo obiettivo con l’apertura all’Ue?

Non è la prima volta che Erdogan avvicina l’Europa; durante la sua attività politica, in base alle esigenze di quel momento ha già compiuto dei passi in questa direzione. Non credo che Erdogan abbia ancora la pretesa di una Turchia leader del Medio oriente: questa pretesa è svanita da un pezzo. La Turchia post-15 luglio 2016 è concentrata sulle sue problematiche interne e sui suoi vicini.



Nel colloquio con il Papa si è parlato di Gerusalemme. Dopo la decisione di Trump. Erdogan aveva parlato di “Gerusalemme come capitale dello Stato occupato di Palestina”. Quale politica persegue? 

La politica della Turchia su Israele è cambiata decisamente dopo il 2016, quando Tel Aviv ha pagato ad Ankara di 20 milioni di dollari come indennizzo per il blitz sulla nave Mavi Marmara (morirono 10 attivisti turchi, ndr). Penso che la sua posizione a difesa dello status quo sia una continuazione di tale accordo.

Oggi Erdogan sta facendo guerra ai curdi dell’enclave di Afrin che hanno combattuto l’Isis in Siria. Perché?

Erdogan non ha mai accettato il ruolo dei curdi nel contrasto all’Isis. Li ha sempre considerati, particolarmente dopo l’opposizione del partito filocurdo Hdp durante le elezioni del 2015 (“seni baskan yaptirmayacagiz”, “non ti faremo fare il presidente”), un pericolo per la sua autorità. 

Diritti civili a pezzi e islamismo radicale crescente: c’è futuro per un’opposizione o Erdogan ha ormai imposto il suo pugno di ferro? 

Il Chp (Partito popolare repubblicano), soprattutto per l’azione di Canan Kaftancioglu, sta cercando di avvicinarsi all’ala sinistra e meno nazionalista. Credo che questa sia una mossa importante. Poi c’è l’Iyi Parti che cerca di recuperare il voto nazionalista di Chp e Mhp. Probabilmente non ci sarà una coalizione tra questi due partiti, ma insieme rappresentano ciò che non rientra nell’ala erdoganiana. 

Lei come definirebbe oggi la Turchia? Uno stato islamico? O semplicemente autoritario?

Uno stato in forte trasformazione culturale e sociale che cerca di ridefinirsi, con un potere che ha il sostegno assoluto di una maggioranza politicamente molto attiva sia in Turchia che all’estero.