“L’idea che un presidente americano si mettesse sullo stesso piano di un dittatore della Corea del Nord incontrandolo direttamente non era mai neanche passata per la mente a nessuno fino a oggi” dice a ilsussidiario.net Andrew Spannaus, giornalista ed esperto di geopolitica internazionale. Lo ha fatto invece Donald Trump con lo storico incontro che si dovrebbe tenere a maggio con Kim Jong-un. Trump, dice ancora Spannaus, “ha superato a sinistra l’establishment liberal mettendolo nuovamente in difficoltà, scavalcando le teorie tradizionali della diplomazia americana che hanno sempre ignorato i bisogni reali della gente, in questo caso la pace”.
Spannaus, si può dire come ha detto il premier giapponese, che “la politica delle sanzioni”, cioè la linea dura di Trump, ha vinto, costringendo Kim Jong-un al dialogo?
Sì e no. Sicuramente Trump ha portato a casa questo importante incontro usando il linguaggio forte, ma dall’altra parte si può dire che ha fatto una concessione che nessun presidente americano aveva mai fatto prima. E’ stato più duro ma si è rivelato anche più morbido.
Quale concessione?
L’idea che un presidente americano incontrasse un dittatore nordcoreano nel passato non era minimamente contemplata.
Per una questione di principio? Mai il dialogo con un dittatore?
Esattamente. Si è sempre detto che non si può concedere a un dittatore repressivo di questo tipo di essere trattato alla pari. Ricordiamo che quando Barack Obama durante le primarie del 2008 disse che era disposto a incontrare chiunque e dovunque, venne attaccato in modo brutale da tutti, compresa Hillary Clinton. Alla gente però piacque l’idea che si possa fare diplomazia invece che la guerra.
Cosa concretamente ha mosso i due leader al dialogo?
Trump ha minacciato di bombardare, Kim Jong-un ha fatto lo stesso, ha spedito qualche missile in mare ma alla fine si parleranno. Gli Usa hanno fatto un passo indietro ammorbidendo la loro posizione e concedendo l’incontro, ammesso che si faccia veramente. Kim Jong-un non parte da una posizione di debolezza, l’idea che si senta sotto una pressione insostenibile è un’idea parziale. Le sanzioni fanno male, ma il leader nordcoreano ha raggiunto sostanzialmente il suo obiettivo strategico: adesso tratta da una posizione di forza e può pensare di migliorare la situazione economica.
Secondo lei che cosa i due sono disposti a mettere sul piatto per ottenere un accordo?
Intanto sarà un percorso lungo e accidentato, non si otterrà certamente un accordo al primo incontro. L’obiettivo dichiarato da tutte e due le parti è la denuclearizzazione della penisola coreana. Gli Usa chiedono lo stop a ogni piano nucleare di Pyongyang e la verifica con controlli da parte di esperti internazionali. Al momento, che ci siano degli ispettori liberi di girare per la Corea del Nord è una cosa assolutamente irrealizzabile, non si arriverà a breve a questo.
E la Corea del Nord cosa chiede?
Che gli Stati Uniti e la Corea del Sud tolgano ogni missile nucleare dal confine tra le due Coree e ovviamente, se non la fine, la riduzione delle sanzioni economiche. La prima cosa non sarà difficile da concedere, perché o dal Giappone o da una delle tante isole del Pacifico gli americani avranno sempre la possibilità di colpire.
Come giudicherà questa mossa l’establishment liberal che dal primo giorno della sua presidenza attacca senza sosta Trump?
E’ una mossa che lo mette in grossa difficoltà. L’establishment attacca Trump quando fa la voce grossa dicendo che è inaffidabile e pericoloso, ma ancora una volta lui li ha superati a sinistra mostrandosi un diplomatico. L’establishment non ha mai accettato l’idea di un dialogo diretto con Pyongyang, al massimo si facevano le famose trattative 5+1, ma Trump dimostra di saper saltare a destra e a sinistra senza rispettare le categorie tradizionali dell’establishment. Adesso dovranno accettare il metodo di Trump o dimostrarsi ancora una volta slegati dai bisogni reali della gente, che sempre vuole la pace.
(Paolo Vites)