Dopo quattro anni di inchieste e due giornate di interrogatori, mercoledì sera l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy è stato formalmente accusato di corruzione passiva, occultamento di fondi pubblici libici e finanziamento illegale della campagna elettorale del 2007, che sarebbe stata in parte pagata con denaro proveniente dalla Libia di Gheddafi.



Due delle domande che più attanagliano gli osservatori riguardano i motivi che hanno spinto al voltafaccia francese nei confronti del leader libico e la “tempistica” di questa incriminazione ufficiale. Detto in altri termini: perché Sarkozy nel 2011 ha deciso di spingere per una coalizione internazionale per far fuori il Rais che pure lo aveva aiutato e perché proprio ora l’indagine ha avuto questa sorta di “impennata”? 



Iniziamo dal primo punto. Se è vero che l’ex presidente francese, nel 2007, aveva intascato i soldi del Colonnello libico è altrettanto vero che il Rais, poi, non ha mai rinunciato a “stuzzicare” l’Eliseo. Subito dopo la vittoria di Sarkozy, infatti, Tripoli gli volta le spalle. Prima firma con lui contratti per oltre dieci miliardi di dollari per la vendita di un’intera flotta aerea da combattimento, confezionata dal colosso dell’aeronautica francese Dassault, ma poi decide di mandare tutto a monte, preferendo il trattato di amicizia e cooperazione con l’Italia che garantiva al governo di Roma e alle imprese italiane ottimi affari con la Jamairyia. Non pago, decide poi di utilizzare parte delle sue scorte di oro, circa 143 tonnellate, per creare una valuta panafricana per soppiantare il Franco Cfa, utilizzato in 14 ex colonie francesi. Un bel danno economico e d’immagine per Parigi. Insomma, ce n’era abbastanza per innervosire Sarkò e spingerlo a perorare l’intervento in Libia. Secondo indiscrezioni, sembrerebbe che, nei mesi immediatamente precedenti l’azione internazionale, molti leader delle rivolte anti-regime avrebbero fatto la spola con Parigi. Forse l’azione dei “ribelli di Bengasi” è stata in parte pianificata Oltralpe? A pensar male si fa peccato, ma un dubbio, per lo meno, è legittimo. 



E veniamo, poi, al secondo punto. Perché proprio ora? La notizia di svariati milioni di euro finiti nelle tasche dell’ex presidente direttamente dalle casse di Tripoli, infatti, circola da tempo tra gli ambienti giudiziari ma anche tra gli analisti più accorti. Non a caso l’indagine sui finanziamenti illeciti da parte del leader libico ha avuto inizio nel 2013.

Giova fare un passo indietro. Nel 2012, il corpo dell’ex ministro del petrolio libico, Shukri Ghanem, viene rinvenuto senza vita nelle acque del Danubio. Sulle dinamiche della morte sappiamo ben poco. Quel che sappiamo con certezza, invece, è che Ghanem si è portato via dei segreti che, forse, già allora avrebbero potuto inchiodare Parigi. Il ministro aveva con sé un taccuino in cui tracciava i pagamenti alla campagna elettorale di Sarkozy giunti, tra il 2006 e il 2007, nelle tasche del futuro presidente da funzionari del governo libico, per un totale di circa 6,5 milioni di euro. Tali scottanti documenti sono ora al vaglio del magistrato francese responsabile dell’inchiesta. In questo “pamphlet” vengono svelati i dettagli delle varie transazioni ma anche nomi e cognomi degli esponenti politici coinvolti. Uno in particolare: quello di Bechir Saleh, che all’epoca dei fatti dirigeva il Lap, Lybian Africa Investment Portfolio, un fondo sovrano libico da cui sarebbero stati stornati fondi a favore di Sarkozy. Con la guerra del 2011 Saleh viene rimosso dall’incarico e spedito nell’ambasciata francese a Tunisi e poi in Sudafrica, a Johannesburg, dove sarebbe stato interrogato dagli inquirenti francesi.

Perché l’ex inquilino dell’Eliseo è stato incriminato proprio ora? Anche in questo caso non possiamo fornire certezze, ma solo qualche ipotesi. Dobbiamo considerare, in primo luogo, che, secondo quanto affermato dall’inviato dell’Onu per la Libia Ghassan Salmè, potrebbero esservi elezioni nel Paese entro il 2018. Siamo, dunque, in periodo pre-elettorale che, di solito, è il momento dei colpi bassi e dei giochi sporchi. Lo è stato in Italia, perché non dovrebbe esserlo in Libia? Resta ora da capire chi potrebbe trarre vantaggio da tutto ciò. Un nome ci sarebbe: è quello di Saif al Islam Gheddafi che ha da poco dichiarato la propria candidatura con il “Fronte popolare per la liberazione della Libia”. In tutta questa vicenda il rischio (paradossale peraltro) è che il Colonnello rischi di apparire come una sorta di “martire” sacrificato sull’altare degli “sporchi interessi francesi” e questo potrebbe contribuire a rafforzare l’immagine del figlio, magari regalandogli un posto al sole nei futuri assetti politici del Paese. D’altra parte, sembrerebbe che il delfino del Colonnello sia ancora in possesso di una parte delle imbarazzanti prove (contenute in cassette audio e video) che contengono le registrazioni degli incontri e delle telefonate fra il defunto Colonnello e i dignitari di mezzo mondo, compresi i francesi. Anche qui, a pensar male si commette peccato, ma dubitare è concesso.