L’effetto domino del caso Skripal ora interessa anche l’Italia, che con l’espulsione di due diplomatici russi ha aderito, a modo suo, alla linea dura scelta da Londra, Parigi e Berlino. Infine è arrivato Trump, che ha cacciato 60 diplomatici russi. Si attende la risposta di Mosca. Certo nessuno si sarebbe aspettato che il caso Skripal avrebbe prodotto simili conseguenze. La sproporzione è evidente, ammette Andrew Spannaus, giornalista e analista americano, fondatore di transatlantico.info. “Assistiamo a una mobilitazione istituzionale delle forze contrarie a un’apertura reciproca tra Russia e occidente, soprattutto tra Russia e Stati Uniti. Il caso Skripal è usato per aumentare lo scontro e l’Italia ci è finita in mezzo”.



Trump ha espulso 60 diplomatici russi. Un fatto senza precedenti, ma anche una decisione a suo modo tardiva.

Sì perché alla fine Trump è stato indotto a questa mossa da un’operazione che non ha molto senso. All’Italia, in piccolo, è accaduto lo stesso.

Il presidente americano ha preso questa decisione per controbilanciare le pressioni del Russiagate?



Trump ogni tanto fa qualcosa per far vedere che non è controllato da Putin. Sul versante Russiagate non c’è una pressione dovuta a fattori immediati, c’è però una pressione generale. Così il presidente ha deciso di dare alla fazione anti-russa un contentino, sperando che la mossa non uccida i rapporti con la Russia. Un po’ come quando ha lanciato i missili sulla Siria, all’inizio del suo mandato; non voleva la guerra, ma solo mostrare di saper fare sul serio se necessario.

All’inizio del caso Skripal, Trump non ha voluto fare subito grandi dichiarazioni o mosse. Perché?



Ha evitato di sbilanciarsi come hanno fatto altri (il ministro degli esteri britannico Boris Johnson, ndr) che hanno incolpato Putin prima ancora di aver indagato. E’ possibilissimo che i russi cerchino di uccidere ex spie, ma è anche possibilissimo che qualcun altro abbia messo in piedi questa operazione per creare una spaccatura più profonda con la Russia.

Ieri sul Corriere della Sera Ian Bremmer, voce dell’establishment di Washington sconfitto nelle urne, ha promosso Trump perché con questi “passi concreti” il presidente “allontana i sospetti di collusione con il Cremlino”.

L’operazione risponde ad uno schema consolidato.

Ma non c’è il rischio che Trump, dando il “contentino” di cui sopra, faccia troppe concessioni ai suoi avversari?

In effetti non è solo un rischio, è una realtà. Dopo un anno di presidenza Trump i rapporti con la Russia non hanno fatto grandi progressi. In Siria la collaborazione sui corridoi umanitari c’è stata e continua a esserci, ma in Ucraina c’è il rischio di un peggioramento della situazione se non si troverà un accordo sui peacekeepers. A questo vanno aggiunti gli ultimi cambiamenti nel personale dell’amministrazione. 

Si riferisce a Mike Pompeo come segretario di Stato e John Bolton come consigliere per la sicurezza nazionale?

Sì. Due figure aggressive contro l’Iran e anche contro la Russia. Soprattutto, ritengo che assumere il super-neoconservatore Bolton sia stato un grave errore da parte di Trump. Per quanto pensi di essere lui a decidere, inevitabilmente ne sarà influenzato.

Il governo Gentiloni si è accodato ai paesi Nato e ha espulso due diplomatici russi, pare su pressione di Washington. L’Italia può tentare di essere equidistante tra Russia e Stati Uniti? 

All’Italia non conviene inventarsi nuove soluzioni, ma stare dalla parte degli Stati Uniti. Tuttavia questo non significa seguire gli errori altrui. La scelta compiuta va interpretata a mio avviso come il minimo necessario, fatto controvoglia, per restare allineati ai paesi Nato. E’ noto che in Italia oggi c’è un’apertura verso la Russia e che la volontà di andare allo scontro non è condivisa da tutti. La cosa migliore per l’Italia sarebbe un Trump più diplomatico. Aprirebbe nuove possibilità per Roma, sia verso l’est e la Russia, sia verso il Medio oriente. Ma se Trump viene spinto allo scontro, questo mette obiettivamente l’Italia in una posizione difficile.

Come valuta, da osservatore, la politica estera di Lega ed M5s?

Sono politiche in via di definizione, soprattutto quella di M5s. La Lega ha preso una posizione più chiara contro le sanzioni alla Russia e in questo non è molto lontana da ciò che pensa buona parte delle istituzioni italiane, con la differenza che Salvini lo ha detto in modo più netto. M5s ha addirittura proposto di uscire dalla Nato; un’ipotesi avventuristica, anche perché rimasta indefinita. 

Quale dovrebbe essere la strada da seguire?

Decidere quali sono gli obiettivi, senza rompere alleanze o definirne di nuove a livello macro. Non sarebbe saggio lasciare la Nato, sarebbe più saggio far sentire la propria voce a difesa degli interessi nazionali. Da questo punto di vista, Trump ha rimescolato le carte.

In che senso?

Ciò che vediamo con Trump e con i cosiddetti partiti populisti è che non esiste più una “linea dell’occidente”, monolitica e uniforme. Esiste una discussione, perfino uno scontro interno a tutti i paesi dell’occidente che ci può portare in una direzione nuova in più campi, politica estera compresa. 

Vale anche per l’Unione Europea?

Certo. Anzi, questa è la sfida più grande. Se la Ue vuole sopravvivere deve riconoscere i propri errori, cioè rivedere alcuni capisaldi della politica europea degli ultimi 25 anni. Soprattutto in materia economica.

(Federico Ferraù)