C’è una lettera misteriosa, non scarlatta, ben chiusa e sigillata che secondo fonti diplomatiche di Seul Kim Jong-un ha dato ai suoi inviati da consegnare personalmente a Donald Trump quando fra qualche giorno si recheranno a Washington. Dopo l’improvviso spalancarsi della strada del dialogo con il primo incontro del dittatore nordcoreano con inviati della Corea del Sud, tutti pensano che quella lettera contenga qualcosa che fino a ieri era impossibile immaginare, l’invito a un incontro ufficiale Nord Corea-Stati Uniti. Trump ha già risposto con nuove sanzioni, dopo aver stabilito che Kim Jong Nam, fratellastro di Kim Jong-un, è stato ucciso su suo ordine. Sono molti gli interrogativi che si stanno aprendo dopo che il mondo era stato con il fiato sospeso per la paura di una guerra nucleare. Secondo il generale Carlo Jean dietro a tutto c’è la Cina, che ha messo in atto pressioni insostenibili per Pyongyang in modo da aprire questa svolta.



Generale Jean, Pyongyang e Seul annunciano fra qualche settimana un incontro ufficiale per decidere una moratoria sul nucleare, mentre sembra che Kim Jong-un sia disponibile a incontrare addirittura Trump. Quale la sua opinione su questa svolta?

Il presidente sudcoreano Moon, a differenza del suo predecessore, è sempre stato favorevole al dialogo con i cugini del Nord. Credo sia possibile dire che dietro la volontà di Kim Jong-un di aprire al dialogo ci siano forti pressioni da parte cinese.



Ne è convinto? Fino a oggi sembrava che Pechino non volesse impegnarsi più di tanto a fare pressione.

Bisogna stare ai fatti. E i fatti ci dicono che prima delle Olimpiadi e del conseguente invito di una delegazione nordcoreana ai Giochi, Moon era stato invitato a Pechino. Quello che ne consegue è che Pechino abbia indicato la via dell’apertura a Seul, consigliandole di agire come fecero Nixon e Mao nel 1972, con la famosa “diplomazia del ping pong”. Questa volta possiamo parlare di diplomazia dello sci, ma sembra che sia riuscita, esattamente come allora l’apertura del dialogo tra Usa e Cina avvenne tramite lo sport. Quello che non sappiamo è che cosa Seul abbia offerto in cambio a Pechino.



Lei che idea ha?

La Sud Corea ha molto risentimento verso gli Stati Uniti, dopo che questi hanno imposto dei dazi sull’esportazione sudcoreana in America abrogando di fatto gli accordi commerciali che aveva fatto Obama. Ma anche il popolo sudcoreano non ama particolarmente gli americani. Ricordiamo le grandi manifestazioni di protesta contro il Tad, l’installazione del sistema antimissilistico americano in Sud Corea. Infine come già detto, Moon non ha mai voluto sentir parlare di azioni di guerra.

Si può dire che Trump esce sconfitto da questo quadro?

La linea della Corea del Sud ha prevalso su quella di Washington, che ha dovuto prendere atto del fatto che i sudcoreani non ne vogliono sapere di un’azione di forza. E senza di loro, militarmente gli Usa non sono in condizioni di agire contro la Corea del Nord.

Per quale motivo?

Gli Usa hanno bisogno delle basi militari e dell’esercito sudcoreano per fare una guerra contro Pyongyang. Anche se non si fosse arrivati alle armi nucleari, una guerra avrebbe significato per Seul, una città di 21 milioni di abitanti, centinaia di migliaia di morti.

Trump ha postato un tweet in cui si dice contento dell’apertura del dialogo fra le due Coree, ma contemporaneamente ha lanciato nuove sanzioni contro Pyongyang. Che fa, tiene il piede in due scarpe?

Possiamo dire di sì. Trump continua  a fare il duro, fa capire che un dialogo si fa solo da posizioni di forza e intanto lancia sanzioni per poter dire, una volta che si arriverà a un accordo di pace, che è stato grazie alla sua linea dura.

Se come dice lei Pechino ha imposto a Pyongyang una svolta, deve aver minacciato sanzioni durissime. Sarebbe la prima volta nei rapporti dei due paesi.

Sicuramente e già lo sta facendo. La Corea del Nord è allo sfacelo dal punto di vista economico e da quello energetico. Un’azione così, continuativa, da parte di Pechino l’avrebbe messa in ginocchio per sempre.

Nonostante tutti questi giochi dietro le quinte, si può dire che Washington e Pechino stiano lavorando insieme?

Direi di sì. Il triangolo Washington-Pechino-Seul sta funzionando abbastanza bene nonostante le reciproche diffidenze e malumori.

(Paolo Vites)