Da molto tempo la politica estera italiana non brilla per la sua rilevanza, anzi si presenta come incerta e prona a seguire gli eventi, piuttosto che prevederli e gestirli. Come in altri settori, l’Italia sembra più disposta a seguire il leader del momento anziché assumere un qualche ruolo direttivo. Diverse ultime notizie di cronaca rafforzano purtroppo questa impressione, a partire dal caso del blitz della polizia francese a Bardonecchia fino al rinvio a giudizio di Sarkozy per la questione libica.
A differenza di Sarkozy, Cameron e Obama, Berlusconi è ancora attivo in politica, ma ciò non cancella il suo comportamento incoerente, per non dire peggio, in occasione dell’attacco alla Libia del 2011. Questo comportamento non è neppure servito a salvare il suo governo, caduto nel novembre dello stesso anno a causa di quello che molti considerano una sorta di golpe, tra i cui artefici si ritrova anche Sarkozy.
La deludente politica estera non è una prerogativa di Berlusconi, anzi, come dimostra il trattato ancora con la Francia sui confini marittimi. Il trattato è stato firmato a Caen nel marzo 2015 da Gentiloni, ministro degli Esteri del governo Renzi allora in carica, dopo colloqui tra i due governi che risalgono al 2006 e che coinvolgono governi guidati da Berlusconi, Prodi, Monti, Letta e, appunto, Renzi. Il trattato è tornato recentemente alla ribalta per le critiche di diversi esponenti del centrodestra, che hanno accusato il governo di aver svenduto una parte del territorio marittimo italiano alla Francia. I danni sarebbero gravi, sia per i limiti imposti ai nostri pescatori che per la cessione dei diritti di sfruttamento di giacimenti di idrocarburi nelle zone passate ai francesi.
I critici sono stati accusati di sovranismo e le critiche definite “bufale”, dato che “il trattato non è in vigore, perché mai ratificato” dal nostro Parlamento, a differenza di quanto fatto dalla Francia. Osservazione formalmente ineccepibile, ma che dire di un Parlamento che a distanza di tre anni non ha ancora firmato un trattato internazionale già ratificato dalla controparte? Nel 2016 i francesi sequestrarono un nostro peschereccio, applicando così il trattato, incidente poi rientrato con le scuse francesi. Il fatto diede luogo a interrogazioni parlamentari, non solo “sovraniste” ma anche delle sinistre, e la risposta del governo ammise che alcuni aspetti del trattato, pur firmato, dovevano essere approfonditi.
E’ seguito il silenzio, interrotto dalle recenti polemiche, scatenate anche dal fatto che in Francia si è tenuta una consultazione pubblica sull’assetto del Mediterraneo e il suo termine, il 25 marzo, è stato preso dai suddetti politici come data dell’applicazione unilaterale del trattato da parte dei francesi. Cosa smentita dalla Farnesina e dall’ambasciata francese in Italia, che ha dovuto però ammettere che nel materiale soggetto alla consultazione erano incluse mappe che riproducevano quanto previsto dal trattato di Caen. L’ambasciata ha assicurato che le mappe, inserite per “errore”, verranno quanto prima corrette.
Tutto a posto, quindi? Non si direbbe proprio. La promessa di correggere gli errori nelle mappe è arrivata solo il 18 marzo, a pochi giorni dalla fine di una consultazione iniziata il 26 gennaio. Inevitabile pensare che senza le polemiche “sovraniste”, le mappe sarebbero rimaste quelle del trattato di Caen, implicita conferma dell’intenzione francese di applicare il trattato. Forse rassicurato dal fatto che il governo italiano non ha avuto nulla da ridire per circa due mesi dalla pubblicazione delle mappe. Tanto più che l’attuale governo è presieduto da quello stesso Gentiloni firmatario a suo tempo del discusso trattato.
Criticabile appare anche la decisione di questi ultimi giorni di espellere due diplomatici russi, che è stata presa da un governo dimissionario. Non si tratta solo di un aspetto formale: questa decisione crea comunque indebiti condizionamenti al governo che andrà ad insediarsi. Siamo al limite dell’abuso di potere in una materia decisamente delicata come la politica estera. Né sembrano esistere urgenti ragioni di sostanza, anzi. Come ha sottolineato Andrew Spannaus nella sua intervista al Sussidiario, all’Italia non conviene inventarsi nuove soluzioni, ma questo non significa seguire gli errori degli altri. Soprattutto quando questi sono particolarmente dannosi per il Paese, come nel caso delle sanzioni alla Russia.
Come se non bastasse, si è ora aggiunto il caso di Bardonecchia, con cinque doganieri armati francesi che hanno fatto irruzione nella stazione per sottoporre un nigeriano a un test antidroga. La Farnesina ha convocato l’ambasciatore francese per chiedere spiegazioni, ma il ministro dei Conti pubblici francese, responsabile dei doganieri, ha affermato che l’intervento è del tutto legittimo in base a un accordo firmato con l’Italia nel 1990. Se è vero, siamo al ridicolo.
A questo punto verrebbe da concludere che per l’Italia sono pericolosi, più che i “sovranisti”, i tanti che sono disposti a cedere (o che hanno già ceduto) pezzi di sovranità, anche senza un piatto di lenticchie.