Qualche giorno prima dell’inizio della Settimana Santa, Damasco è stata colpita da un bombardamento dei cosiddetti ribelli della zona del Ghouta, contro cui si combatte una furiosa battaglia alla periferia della capitale della Siria. “Vedevamo nella zona di Goutha un ‘vesuvio’ di fuoco e come risposta su Damasco arrivò una pioggia di colpi di mortai sul quartiere vecchio dove ci sono le cattedrali e le chiese, ma anche un po’ dappertutto nella città” ci ha detto monsignor Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco dal 2008. Molte le vittime, tra cui un ragazzino cristiano che stava tornando a casa dalla scuola. Sette anni dopo l’inizio della guerra Damasco vive ancora nella paura e nella morte: “La comunità cristiana ha celebrato con gioia e anche folclore la Settimana Santa e così sarà in questa domenica di Pasqua. Ma sono sette anni che noi come nazione siamo fermi al Venerdì Santo. Sette anni che chiediamo che insieme a Gesù possa risorgere anche questa martoriata nazione”.
Monsignor Zenari, mentre gran parte della Siria è stata liberata da ribelli e jihadisti, paradossalmente nella capitale Damasco si combatte ancora. Come è la situazione?
Da quando è cominciata la battaglia di Ghouta siamo di nuovo sotto le bombe. L’ultimo bombardamento di mortai ha colpito soprattutto il quartiere vecchio dove si trovano le cattedrali e le chiese, ma ha colpito un po’ dappertutto.
Che prospettive ha aperto questa Settimana Santa e quali apre la Pasqua per una comunità che soffre così tanto?
Io premetto sempre che chi soffre è la Siria tutta insieme, poi nei vari gruppi religiosi ognuno ha i propri martiri. Durante la Settimana Santa ho detto a un gruppo di religiose e religiosi che non era solo la settimana della passione di Gesù quella che stavamo celebrando, ma insieme di Cristo e della Siria.
Anche i musulmani soffrono come i cristiani, spesso vi siete sostenuti a vicenda.
Anche i nostri fratelli musulmani e quelli di altre fedi vivono questo mistero, che secondo noi cristiani è il mistero della Croce di Cristo che poi viviamo tutti quanti anche se ognuno ha la sua fede. Un cristiano vede la passione in tutti i siriani. E’ il settimo anno di questa passione, la sofferenza è comune e trasversale. Certamente noi cristiani siamo l’anello più debole in questo conflitto.
In che senso?
I gruppi minoritari sono sempre a rischio e fra questi quelli più a rischio sono i cristiani. Se appartieni al 70 per cento della popolazione ti senti le spalle più al sicuro di quelli che sono minoritari. Abbiamo portato tante croci, visto edifici religiosi e chiese danneggiati o distrutti, ma la sofferenza più grave è la migrazione dei cristiani.
Continuano ad abbandonare la Siria?
Una cattedrale con un po’ di buona volontà e di solidarietà la si può ricostruire, ma se poi sono mezze vuote rispetto a prima è una ferita. La sofferenza più grande è veder partire i cristiani e i giovani soprattutto.
Non ci sono le condizioni per restare?
Un giovane se ne va per due ragioni principali: mancanza di prospettive e l’impegno di potersi costruire una famiglia.
Colpisce come la Siria sia la patria delle prime comunità cristiane che da qui hanno portato la fede nel mondo. C’è qualcosa di profetico secondo lei in tutto questo?
La Siria è l’anagrafe dei cristiani. Se ci chiamiamo così è perché ad Antiochia di Siria dopo l’ascensione del Signore la gente ha cominciato a chiamare cristiani i discepoli, e qui che ci hanno dato il nostro nome. Nel mondo ci sono quasi due miliardi di cristiani, l’anagrafe di queste persone si trova ad Antiochia che nel 1930 i francesi passarono alla Turchia, ma è Siria. C’è Damasco, la città di San Paolo che perseguitava i cristiani, diventato l’apostolo della genti ed è un’altra seconda gloria di questo paese; e infine oltre ad aver dato quattro imperatori a Roma, la Siria ha dato sei papi fino all’arrivo dell’islam. E poi le tante comunità: quella maronita, quella siriana, tutte tradizioni che sono sorte ai tempi degli apostoli.
Adesso questa storia meravigliosa rischia di scomparire?
Adesso siamo un piccolo gregge, la metà dei cristiani in questi sette anni sono partiti. Non dimentichiamo che i cristiani hanno sempre dato un grande apporto alla società siriana con il loro spirito aperto e universale, i cristiani per la Siria sono una finestra sul mondo che adesso rischia di chiudersi.
Questa Pasqua di resurrezione sarà anche la resurrezione della Siria?
E’ quello che attendiamo da sette anni e per cui preghiamo e lavoriamo, ma siamo ancora fermi al Venerdì Santo.
(Paolo Vites)