NEW YORK — Io Facebook lo uso. Un po’. Non che ci faccia granché. Più che altro ci metto gli articoli del Sussidiario, gli eventi che vorrei far conoscere a tutto il mondo e vado a cacciare il naso nella lista dei “Birthdays”. E poi ogni tanto cambio la cover photo. Insomma, in qualche misura sono uno dei due miliardi di esseri umani che Mark Zuckerberg ha radunato in questa enorme comunità virtuale venuta fuori dal nulla negli ultimi 14 anni. In California ho pure amici che ci lavorano. Un’idea geniale, uno sviluppo imprevedibile, un business multimiliardario, anche tante cose buone e interessanti… e ora? Ora succede che il Sig. Zuckerberg, il 33enne imprenditore-prodigio che non ha mai finito l’università (ma non per questo si è particolarmente avvilito) comparirà davanti a due Commissioni del Senato che lo friggeranno in padella a causa dell’uso improprio dei dati personali di milioni di utenti. 



C’è di più: l’anno scorso Facebook aveva già ammesso che circa 1,8 milioni di persone si erano fatte followers di alcune pagine associate a una non identificata entità russa, estremamente attiva durante la campagna presidenziale. C’è poco da scherzare, roba seria. Già, roba seria e Zuckerberg ne è pienamente consapevole, tanto che sia lui che Sheryl Sandberg, Chief Operating Officer del colosso di Menlo Park, hanno da giorni iniziato la loro campagna pubblica di scuse, con un’ondata di interviste che i media non si erano mai neanche sognata. Per dire che “We didn’t do enough to prevent these tools from being used for harm”, ovvero, non abbiamo fatto abbastanza per impedire che questi strumenti venissero usati a fin di male. E che ovviamente ci stanno lavorando su. 



Come si faccia, cosa occorra a controllare un mastodonte come Facebook non oso neanche immaginarlo, ma io non sono Zuckerberg e non dovrò sedermi sulla griglia infuocata della Commissione del Senato. Né oggi, né domani. Mi tengo le mie preoccupazioni. Quello che però più mi colpisce nell’avventura di Facebook è come esso si sia inserito in quel lembo di terra, quel sottile e quasi invisibile spazio tra privacy e solitudine che è la residenza abituale di tanti americani e sempre più di tanti nel mondo occidentale. Con Facebook la privacy, un certo tipo di privacy, va a farsi friggere e non è questione di russi o di trafficoni consulenti inglesi che cercano di manipolarci il cervello. 



Se nessuno qua rinuncerebbe alla staccionata tra la propria backyard e quella del vicino, da quando ci si è messo di mezzo Zuckerberg nulla mi trattiene dall’informare il mondo (in immagini, parole e persino musica) che mi sposo, divento nonno, gioco con il Lego, devo correre in bagno, c’ho un topo in casa o quant’altro. Infatti oggi come ieri e ieri l’altro e presumibilmente pure domani, centinaia di milioni di utenti continueranno a cliccare, postare, condividere. Il fatto che Zuckerberg vada al Senato pare proprio non interessare granché o modificare il nostro rapporto con i social network. 

Sono circa le 2:30 del pomeriggio e Zuckerberg è pronto alla grigliata. Bianco come la sua camicia, visibilmente teso. Chuck Grassley, Chairman della commissione, comincia a far domande e l’uomo di Facebook risponde con la sua, legittima, retorica: la nostra è una company idealistica e ottimistica nata per connettere gente in tutto il mondo. Mentre parla e annuncia tutta una serie di azioni tendenti a proteggere i dati, a combattere le fake news, e a difendersi da intrusioni politiche straniere, sembra prendere colore. Ma l’interrogatorio si fa via via più stringente. Perché non notificare le persone i cui dati erano stati sottratti in qualche modo da Cambridge Analytica? Perché non notificare le autorità? Perché dopo 10 anni di scuse per errori fatti questa dovrebbe essere la volta buona? Perché ancora oggi una persona qualsiasi può trovare su Facebook cose che non dovrebbero esserci? Perché deve essere Mr. Zuckerberg a dettare le regole del gioco gestendo monopolisticamente i social network? 

Siamo solo all’inizio, eppure… Eppure sembra proprio che l’uomo di Facebook ancora una volta possa uscire vincitore dall’ennesima sfida, anche perché a differenza dei senatori che lo interrogano, lui sa di cosa sta parlando… È solo una sensazione, vedremo. In ogni caso anche se Facebook dovesse privarci della privacy, non ci priverà certamente della solitudine. Purtroppo la solitudine non ne ha risentito, anzi.