Viktor Orbán ce l’ha fatta ancora e piuttosto alla grande, conquistando il suo terzo mandato consecutivo alla guida dell’Ungheria come premier. Una vittoria risultata non ben accetta e perfino imprevista, almeno nelle dimensioni, da buona parte dei media internazionali e dai vertici di Bruxelles.
L’accusa principale fatta ad Orbán è di aver modificato la Costituzione in senso illiberale e, infatti, l’Ungheria viene ascritta a quella gamma di “democrazie illiberali” che vanno dalla Russia di Putin alla Turchia di Erdogan (anche se molti cittadini europei potrebbero forse far rientrare nella stessa categoria pure l’Unione Europea).
La maggiore area di scontro con Bruxelles e con i governi “guida”, Germania e Francia, è data in realtà dalla chiusura nei confronti dei flussi migratori. Inevitabile, quindi, l’accusa di destra sovranista, nazionalista, e magari razzista e antisemita, che scatta ogni volta che un governo prende decisioni simili. Sia pure con pesi diversi. Per esempio, le reazioni verso simili politiche attuate dall’Austria, appartenente al “cerchio magico” di Berlino, sembrano limitarsi a critiche di un incidente di percorso, una vittoria delle destre che si auspica del tutto temporanea. La rigida difesa delle proprie frontiere da parte della Francia, evidenziata anche da recenti fatti di cronaca, viene invece considerata legittima, a conferma della natura di orwelliana “fattoria degli animali” dell’attuale Ue. I “sovranisti” sono aspramente criticati in nome di una “fusione” di identità statali e nazionali nel “mare europeo”, ma di fronte all’esodo e alle tragedie nel Mediterraneo quest’ultimo ridiventa “Mare Nostrum” e il peso dei flussi migratori rimane sulle spalle essenzialmente di Italia e Grecia, tornate in quest’occasione sovrane.
Questo atteggiamento di Bruxelles trova opposizione non solo in Ungheria ma, sia pure con intensità e modalità diverse, anche negli altri tre Stati del Gruppo di Visegrad, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Quest’ultima è l’unica ad aver aderito all’euro, mentre gli altri Stati pare abbiano raffreddato il loro interesse per la moneta unica. Peraltro, un processo simile è avvenuto nella liberale e progressista Svezia, rimasta finora fuori dell’euro e che sta rendendo più severe le norme sull’immigrazione, spinta da una sempre minor accettazione del fenomeno da parte di ampi strati della popolazione.
Tuttavia, vi è un’importante differenza tra Svezia e Ungheria: la prima è contributrice netta all’Ue, la seconda è ampiamente prenditrice. Ciò dà luogo a molte osservazioni del tipo: se non vogliono rispettare le disposizioni di Bruxelles, allora restituiscano i fondi europei, determinanti per l’attuale crescita della loro economia. Forse varrebbe la pena di approfondire, da entrambe le parti, la differenza tra uno Stato membro e una colonia.
Una delle accuse fatte a Orbán è stata la malversazione dei fondi europei per fini personali ed elettorali. Queste accuse non sembrerebbero campate in aria, ma mettono in gioco anche la capacità di controllo delle autorità centrali europee. Il Gruppo di Visegrad è stato costituito nel 1991 e nei suoi confronti la Ue sembra aver fatto lo stesso errore di valutazione commesso così spesso in giro per il mondo dall’Occidente: non tener conto delle caratteristiche storiche dei vari Paesi. I quattro Paesi si sono opposti coraggiosamente alla dittatura comunista, con il ’56 ungherese, con la Primavera di Praga nell’allora Cecoslovacchia, con Solidarnosc in Polonia. Una lotta che ha visto in prima linea i popoli, ma che ha influito in minor grado sulle strutture burocratiche e di governo. Questa limitata “purificazione” ha però permesso di rendere meno costoso il passaggio a sistemi democratici in buona misura nuovi per quegli Stati. Tuttavia, la deprecata “decisionalità” di questi governi è per converso ritenuta positiva da Bruxelles quando espressa in termini antirussi.
Nelle ricorrenti citazioni di un’Europa “a due velocità”, il Gruppo di Visegrad sembra occupare un ruolo a sé stante, che potrebbe dare luogo a una “terza velocità” per l’Unione. E’ convinzione di chi scrive che questa risistemazione degli Stati europei avverrà quando l’Unione Europea avrà esaurito i suoi vantaggi per gli “Stati guida”, o meglio per la Germania. Tuttavia, anche a Berlino devono tener presente che la miccia potrebbe essere accesa prima della data da loro stabilita e le possibilità di questa eventualità stanno aumentando piuttosto che diminuendo.