Solo pochi mesi fa, a metà gennaio, l’ormai “dimissionario” governo Gentiloni sbandierava soddisfatto la lista delle nuove missioni estere per il 2018. Tra tutte spiccava quella in Niger — con l’invio di circa 470 uomini, 130 mezzi di terra e 2 mezzi aerei, per un costo complessivo di 50 milioni — per addestrare i locali nelle operazioni di controllo delle frontiere. Una strategia importante per controllare i flussi migratori, rafforzando la lotta ai trafficanti e al terrorismo jihadista, e un tassello essenziale per completare gli sforzi in atto in Libia. Nonostante le critiche che già allora si erano levate da più parti, una cosa appariva positiva: l’Italia aveva finalmente dimostrato di avere una strategia estera.
Ma forse, presi dall’entusiasmo, o magari convinti che la patata bollente sarebbe passata nelle mani del nuovo governo, i “vecchi leader” potrebbero aver fatto i conti senza l’oste. Vediamo perché.
Di recente sono rimbalzate sui media una serie di dichiarazioni e smentite sulla “fattibilità” di questa missione. Il presidente nigerino, Mahamadou Issoufou, che pure aveva approvato, o per lo meno così pare, l’invio del contingente italiano, dopo aver intascato lo scorso aprile 50 milioni di euro dal nostro governo — o almeno una prima tranche — per il controllo delle frontiere, avrebbe chiesto un “rallentamento” nelle procedure di invio dei militari italiani. Insomma, veloce nell’accettare i nostri soldi e un po’ meno i nostri soldati, verrebbe da dire con un po’ di amaro sarcasmo.
Nonostante sia giunta la smentita dello Stato maggiore della difesa, i dubbi permangono: chi vuole mettere i bastoni tra le ruote all’Italia? In molti potrebbero dire: la Francia. Eppure la risposta più logica non è sempre la più scontata.
L’Eliseo, lo sappiamo bene, ha piazzato nel Sahel circa 4mila uomini a tutela dei suoi interessi e per condurre la sua guerra economica per le risorse, visto che solo dal Niger ricava più o meno il 40 per cento dell’uranio che utilizza per i suoi reattori nucleari. Eppure il giovane presidente francese Emmanuel Macron, solo pochi giorni prima dell’approvazione delle missioni estere italiane, si era recato personalmente a Roma e in conferenza stampa congiunta con l’allora premier Gentiloni, dopo aver vagheggiato addirittura un possibile “Trattato del Quirinale”, aveva testualmente affermato: “Voglio rendere omaggio anche alla decisione dell’Italia per la missione in Niger”. Insomma, un modo per aprirci, o almeno schiuderci, le porte di “casa sua”. D’altra parte, sarebbe difficile credere che l’Italia potrebbe aver deciso di pianificare una missione nella Françafrique senza la “gentile concessione” dell’Eliseo.
Che cosa è accaduto? Macron ha cambiato idea? O noi siamo stati davvero così sprovveduti da fare un accordo senza la controparte? Iniziamo dal primo punto.
È possibile che la Francia ci abbia ripensato. Il presidente francese, infatti, aveva accolto positivamente la nostra intenzione di schierare truppe in Niger, ma forse avrebbe voluto relegarci al solito ruolo di gregari, ponendo le nostre truppe sotto il comando d’oltralpe. Noi abbiamo avuto invece “l’ardire” di varare una missione di solo addestramento, indipendente dai francesi e per giunta dislocata presso la base americana di Niamey. Fatti che potrebbero farci propendere per un possibile sabotaggio dell’Eliseo.
Ci potrebbe essere, però, anche altro. Negli ultimi tempi in Niger si sono sollevate una serie di proteste per l’abrogazione” della legge finanziaria del 2018, considerata “antisociale”, e per il ritiro delle forze straniere presenti nel Paese, a cui — neanche a dirlo — il presidente nigeriano ha risposto con la solita politica repressiva. Tuttavia il clima resta incandescente e l’arrivo di un nuovo contingente, seppure piccolo rispetto a quelli già presenti, potrebbe esacerbare gli animi. Per questo, nonostante gli “oboli” italiani, il governo nigerino potrebbe aver deciso di sacrificare — o almeno congelare — l’Italia sull’altare della stabilità interna, magari con il placet dei francesi che preferiscono di gran lunga la permanenza al potere di un presidente amico, funzionale alla tutela dei propri affari, rispetto a un aiutino italiano.
Resta, infine, un’ultima ipotesi, difficile ma non impossibile. Il no ufficiale alla missione italiana sarebbe stato pronunciato il 9 marzo dal ministro dell’Interno Mohamed Bazoum — peraltro molto vicino ai francesi —, che aveva affermato, addirittura, di aver appreso la notizia dai media e, dunque, facendo intendere di non essere stato informato dal suo presidente. Ora, il politico nigerino, considerato da molti il prossimo premier, potrebbe aver deciso di attuare una tale mossa per screditare il presidente in carica. Sporco gioco dei francesi o dispute interne? O magari entrambe le ipotesi?
Difficile rispondere, ma una cosa è certa: i francesi in Italia fanno ciò che vogliono. Con un piede entrano a Bardonecchia per controllare quei migranti che con l’altro piede avevano rispedito a calci in Italia. Nel frattempo continuano indisturbati a fare shopping nel Belpaese (214 acquisizioni negli ultimi dieci anni per un valore di 32 miliardi di euro, secondo dati Kpmg). E l’Italia, come sempre, sta a guardare.