INCONTRO TRA LE DUE COREE. “Dobbiamo essere felici per questo vertice, che andrà bene come andrà bene probabilmente anche il prossimo vertice tra Kim e Trump. Ma questa è solo una tappa, non è un punto di arrivo” spiega Francesco Sisci, editorialista di Asia Times e docente nella Renmin University of China. In questo momento il leader della Nord Corea Kim Jong-un sta oltrepassando a piedi, per la prima volta, il confine che dal 1953 divide le due Coree, due paesi formalmente ancora in guerra. Ad accoglierlo il presidente della Sud Corea Moon Jae-in. Un incontro storico, preparato da una evoluzione politica rapidissima, piena di speranza ma anche di numerose incognite



Perché parla di “tappa”?

Una pausa politica è fondamentale in questo momento, perché si sono venute rapidamente accumulando tensioni nella regione. E non siamo fuori dall’area di pericolo.

Ci spieghi meglio. Si tratta di un incontro storico, non è così?

Sì, ma l’euforia per quanto accadrà di qui a poco non deve distogliere la nostra attenzione da due elementi inquietanti. Uno è la notizia emersa recentemente che il sito per gli esperimenti nucleari sotterranei della Nord Corea è crollato. Pyongyang potrebbe aver rinunciato agli esperimenti non per effettiva volontà, ma perché tutto è andato a pezzi.



E l’altro elemento?

Non è ancora emerso e per ora rimane sotto il tappeto. Riguarda la diffusa preoccupazione per la minaccia di proliferazione che arriva dalla Nord Corea, la cessione di tecnologie nucleari e missilistiche a terzi e le paure del Giappone. Tokyo è tuttora sotto la mira dei missili nordcoreani e vuole garanzie ampie di sicurezza. Questi due temi oggi passano sotto silenzio, ma se domani riemergessero e Pyongyang non desse risposte soddisfacenti, il dialogo in un attimo potrebbe precipitare.

Però dovrà ammettere che di strada ne è stata fatta dall’inizio ormai lontano delle trattative.



Qui tocchiamo la dimensione regionale della questione. Quando i colloqui a sei furono pensati e lanciati alla fine degli anni Novanta, essi prevedevano che attraverso la collaborazione in Nord Corea Cina e Usa creassero uno spazio di interesse comune che portasse a una maggiore convergenza politica bilaterale. Allora Usa e Cina erano abbastanza ben disposti l’uno verso l’altro, e gli Usa erano interessati a trovare modi per avvicinare la Cina. Oggi l’atmosfera generale è molto diversa. La Cina, attraverso la sua collaborazione in Nord Corea, dà prova delle sue buone intenzioni verso l’America, ma l’America non sta affatto facendo altrettanto.

Qui si tocca il nodo dello scambio strategico riguardante Taiwan. A che punto siamo?

Con le recenti manovre militari cinesi sullo stretto di Taiwan, l’isola di fatto indipendente ma formalmente parte di un’unica Cina, Pechino diceva: vi diamo la Nord Corea ma non vogliamo interferenze a Taiwan. 

Che cosa è cambiato?

Nei giorni scorsi il prossimo ammiraglio americano dell’area dell’Asia Pacifico Davidson nella sua deposizione al Congresso ha promesso di contenere la Cina nel Mar cinese meridionale. Il suo predecessore Harris è stato intanto nominato ambasciatore in Sud Corea. Cioè gli Usa dicono: la pace in Corea è un cosa, Taiwan e il Mar cinese meridionale sono questioni separate. Ma non è tutto. Se si arriva a un accordo di pace, quale sarà il sentimento delle due Coree verso la Cina? Non è chiaro, la questione è incerta.

Che cosa si dovrebbe fare?

Moltiplicare iniziative e sforzi di pacificazione ora per consolidare e allargare il successo del vertice. Deve essere considerata una prima tappa senza farsi illusioni, perché l’atmosfera in Asia, intorno alla Cina, sta peggiorando. Questo è il punto vero e grave.