Psichicamente debole. Questa è la diagnosi assai approssimativa fornita dalle autorità tedesche subito dopo la strage di Münster. L’uomo non aveva legami con l’Isis, dice la polizia. Per essere debole di mente Jens R., 48 anni, ha avuto una determinazione tremenda. Ha agito con metodo. Ha scelto il ristorante all’aperto più famoso, travolgendo la gente seduta serena ai tavolini. Infine si è sparato alla testa.



Un pazzo dunque. Dobbiamo crederlo? È stato in clinica psichiatrica anni fa, ma com’è che aveva una pistola? E perché mai dovremmo essere sollevati? L’ideologia salafita per la distruzione dell’Occidente non richiede corsi di esercizi spirituali: chiede di uccidere dove capita. Se questo seme fiorisce orrendamente in una testa malata, non c’è problema: ha ammazzato infedeli tra l’altro in una città simbolo del cristianesimo.



Detto questo, conviene aspettare gli esiti delle indagini, ma non dobbiamo aspettarci la sincerità delle autorità. Del resto è ben giusto combattere il panico. Non tranquillizza però constatare che un immenso apparato di sicurezza come quello tedesco — ammesso e non concesso che Jens R. fosse estraneo alla causa jihadista — non sia in grado di monitorare squilibrati con propensione conclamata al suicidio clamoroso.

Certo è che questo terrorismo endemico in Europa, magmatico nei moventi immediati, è comunque un successo della tattica di inseminazione della violenza diffusa oggi predicata da Isis e Al Qaeda. Lo stato islamico ha affrontato una serie quasi incessante di battute d’arresto e sconfitte in Iraq e in Siria. Ma la sua drastica contrazione territoriale (nel 2017 ha perso circa il 70 per cento della superficie controllata), ha avuto una conseguenza operativa, accendere fuochi ovunque: tra ottobre 2016 e settembre 2017, l’Isis ha condotto 5.349 attacchi in tutto il mondo, per un totale di 8.139 vittime. Noi ci accorgiamo di quelli più gravi e che uccidono nel “nostro” mondo europeo. Ma se si alza lo sguardo oltre i ristretti orizzonti delle nostre preoccupazioni immediate, possiamo capire che questo cancro ha lanciato metastasi ovunque. 



La cura? Intelligence, prevenzione, repressione. Tutte cose ovvie. Il problema è farle bene. Ma c’è qualcosa d’altro, di ancora più decisivo. Ed è il cuore, il sentimento della vita che ha testimoniato Arnaud Beltrame, quel gendarme francese che, mosso da una fede cristiana entratagli nelle ossa, ha dato la sua vita per una donna che non conosceva. Non so se si vincerà, se con dieci cento mille Arnaud si estirperà quel tumore, ma intanto imparare da quell’amore strappa il pungiglione alla morte.