L’annuncio dato martedì in contemporanea sia dal Presidente Macri che dal responsabile del dicastero dell’Economia Nicolas Dujovne inerente la richiesta di aiuti al Fmi, a cui ha fatto seguito la partenza di quest’ultimo e di tutto lo staff alla volta di Washington, ha contribuito ad agitare una situazione che si pensava tranquilla dopo il “lunedì nero” dei mercati dovuto al rialzo dei tassi di interesse Usa che si sono abbattuti su di un’Argentina in pieni “lavori in corso”. Non si capisce davvero il senso della manovra, visto che le riserve della Banca centrale argentina sono in grado perfettamente di affrontare una situazione nemmeno lontanamente paragonabile a quella del 2001. Ma vediamo di ripercorrere il cammino di questo Governo.
Iniziamo col dire che nel 2015, all’atto del suo insediamento, Macri ha ereditato un’Argentina con le casse vuote, fatto dovuto a 13 anni di potere Kirchner che, pur vivendo una straordinaria situazione economica dovuta all’altissimo valore della soia nel mercato internazionale, anziché approfittare dell’occasione per segnare un cambiamento nel Paese e dotarlo finalmente di infrastrutture degne a incamminarlo verso la costruzione di un’economia non dipendente dal prezzo delle materie prime, ma in grado di produrre derivati, ha prosciugato le casse dello Stato sia nella corruzione più alta mai vista nella storia (con opere pagate completamente senza che venissero mai costruite) che per sovvenzioni e sussidi utilizzati spesso come moneta politica di scambio. A un certo punto l’inflazione è arrivata al 40%, ma è stata mascherata sia da dati falsi propagandati dall’Indec (l’Istat argentino) che da un cambio con il dollaro mantenuto bassissimo (9 pesos!) artificialmente.
Insomma, come nel 2001 ancora una volta il peronismo si preparava a passare il potere di mano con una bomba a orologeria ben congegnata. Ma stavolta, dopo aver inaspettatamente vinto le elezioni, Macri ha saputo manovrare la situazione attraverso il proprio ministro dell’Economia Alfonso Pratt-Gay e il suo staff, che hanno dapprima risolto la spinosa diatriba dei Tango-Bond attraverso un’emissione straordinaria di titoli di Stato andati a ruba e che hanno permesso di rientrare con un somma di denaro superiore alla spesa per il pagamento dei vecchi titoli. Poi ha frenato quella che si pensava la bomba principale, attestando il cambio peso-dollaro su di un valore di 15 pesos.
Una volta disinnescata la bomba si doveva pensare a come riempire le casse dello Stato per poter affrontare le enormi spese dovute non solo al sociale (pensioni, sussidi vari, ecc.), ma anche per poter iniziare finalmente a programmare la costruzione di infrastrutture in grado di accompagnare uno sviluppo economico. Come? Attraverso prestiti internazionali, accordi con un mondo al quale l’Argentina si è tornata ad affacciare dopo 13 anni di isolamento, e un inevitabile aumento delle imposte. Cercando pure di tagliare sussidi inutili, come quello pazzesco che, solo per Buenos Aires, sovvenzionava l’80% delle bollette energetiche (gas e luce). In pratica la somma delle due equivaleva a meno del costo di una tazzina di caffè al bar, provocando oltretutto consumi energetici superiori alle riserve, cosa che per anni è stata la causa di tagli alla fornitura, specie di energia elettrica. Oltretutto il 70% di queste sovvenzioni andava a beneficio soprattutto delle classi più abbienti. Un vero e proprio sproposito tra i tanti, che l’attuale Governo ha cercato di rimediare, mantenendo i sussidi alle frange meno abbienti della società, ma al tempo stesso contravvenendo al suo principio di gradualità, con aumenti improvvisi delle tariffe energetiche anche del 500% (che purtroppo continuano), cosa che si è fatta sentire pesantemente non solo nelle tasche di una classe media che compone gran parte della forza lavoro del Paese (8 milioni di abitanti su 40, cifra di per sé già inquietante), ma pure la piccola e media impresa, che costituisce la vera forza industriale dell’Argentina.
E qui si è mostrato il vero limite del Governo, il suo difetto più grave: la comunicazione. Già lo si era notato nel discorso iniziale del suo mandato al Congreso de la Nacion, dove Macri non aveva insistito tanto sulla spaventosa eredità economica ricevuta, forse per non gettare benzina sul fuoco di un Paese da decenni tragicamente diviso in una breccia politica tra peronismo e i suoi avversari. Ma oltretutto non era missione impossibile spiegare (oltreché utilizzare un po’ di gradualità) non solo le ragioni degli aumenti, ma anche iniziare la costruzione di una mentalità di risparmio energetico assente nella popolazione, cercando di spingere l’industria nazionale alla produzione di elettrodomestici a basso consumo e offrendo facilitazioni all’acquisto, in modo che, in un arco di tempo medio, il consumo ridotto potesse assorbire i rialzi dei costi energetici.
Solo da poco tempo si è iniziato a vedere qualcosa in questo senso, ma davvero poco, e purtroppo l’incapacità di comunicare aiuta un’opposizione pure divisa (il peronismo è ormai frantumato) nella sua propaganda distorta di una realtà che in gran parte deriva da un’eredità di un potere passato che la vide protagonista. Passato che ormai da anni ha prodotto indagini che confermano non solo l’altissima corruzione politica, ma pure quella sindacale. Indagini che hanno messo in moto una catena di arresti preventivi che però, pur se parzialmente giustificati dal pericolo di inquinamento delle prove o fuga degli accusati, rivela l’altro limite del Governo di Macri. All’opposto che con le politiche energetiche, la riforma della giustizia aveva bisogno di un’accelerazione nel suo cambiamento per poter permettere, tra l’altro, non solo il vivere una Repubblica in uno Stato di diritto, ma anche velocizzare i tempi processuali al fine di giudicare i colpevoli della passata corruzione. Ossia di far finalmente partire quella “Mani Pulite” argentina necessaria al cambiamento, fortemente richiesto dalla società, ma che pare non iniziare mai. Con grave danno per tutto un sistema Paese che cerca di attirare investitori che però, anche per questo motivo, tardano ad arrivare.
In definitiva ci troviamo di fronte, al contrario che in altri momenti finanziariamente difficili vissuti dall’Argentina, in un Paese che, pur attraverso errori di politiche a volte inspiegabili (ai quali aggiungiamo l’allontanamento di Pratt-Gay da ministro dell’Economia e quello di due manager, Carlos Melconian e Isela Costantini, che hanno rimesso in piedi entità statali in “eterne” difficoltà economiche come il Banco Nacion e Aerolineas Argentinas) sta tentando di procedere a barra dritta verso un cambiamento che gli permetta, in futuro, di poter evitare situazioni difficili dettate da congiunture internazionali come quella in corso, che però rientrano in classiche corride cambiarie e non hanno nulla a che vedere con il nefasto 2001 del corralito.
L’entrata del Fmi rimane però un mistero e si inquadra probabilmente in una manovra di ulteriore sicurezza finanziaria onde prevenire altre situazioni che in futuro possano turbare la situazione di un Paese la cui storia recente è stata segnata proprio da politiche errate del Fmi nei suoi confronti.