Una vera e propria strage, quella consumatasi a Gaza nella giornata di ieri, in concomitanza dell’inaugurazione dell’ambasciata Usa in Israele che di fatto riconosce Gerusalemme come capitale ebraico. Si parla di 58 morti e circa 2700 feriti, un bilancio che la dice lunga sul livello degli scontri verificatisi tra le truppe israeliane, che reclamano il proprio diritto a difendere il confine, e i cittadini palestinesi guidati da Hamas, che guardano a quelle terre contese come ad un bene estirpato con la forza. E oggi si attendono nuovi scontri in occasione dell’anniversario della “nakba”, ovvero la “catastrofe”, che i palestinesi fanno coincidere con la creazione di Israele nel 1948.
Gli Usa dal canto loro confermano la loro posizione pro-Israele ma comprano tempo sulla definizione di Gerusalemme. In una nota diramata dalla Casa Bianca, infatti, pur ribadendo ovvia una questione “Gerusalemme è la capitale di Israele”, si precisa che questo non vuol dire che “gli Stati Uniti abbiano preso una posizione nei negoziati sul suo status finale. L’amministrazione Trump sostiene lo status quo nel luoghi sacri di Gerusalemme e crede che questa decisione dovrebbe essere presa da israeliani e palestinesi”. Da Washington si sottolinea però come “la colpa (degli scontri) è senza dubbio è di Hamas” che sta sfruttando “in modo cinico” la situazione di caos nella regione. (agg. di Dario D’Angelo) QUI LE ULTIME NOTIZIE NELLA GIORNATA DELLA NAKBA
MONS. FALTAS: “MAI VISTA TANTA RABBIA”
Gli schieramenti sono i soliti: da un lato i pro-palestinesi che parlano di massacro e di morti e feriti sulla Striscia di Gaza per l’ennesima volta da troppi anni a questa parte. Poi ci sono i pro-Israele che invece argomentano: davanti ad Hamas che carica la folla per farla ribellare contro l’esercito di Israele e davanti alle continue minacce terroristiche, la reazione a Gaza è drammatica ma è una difesa delle proprie terre. In mezzo ci sta sempre la verità e la realtà, che parla di problemi (e azioni illegali) da entrambe le parti, senza difendere alcun status quo se non quello della vita di ogni singola vita umana, che sia israeliana o palestinese. La comunità internazionale poi ha sul groppone la gestione per nulla esente da colpe e il rischio che la situazione si complichi ulteriormente è purtroppo assai probabile: davanti a questa tragica evoluzione dei fatti, monsignor Irahim Faltas – direttore delle scuole francescane e responsabile per la Custodia di Terra Santa dei rapporti con Israele e palestinesi – ha voluto spiegare all’AgenSir cosa sta davvero accadendo in Medio Oriente in questi ultimi mesi.
«Sono in Terra Santa da 30 anni e non ho mai visto cose del genere, mai tanta rabbia da parte dei palestinesi: si muore a Gaza, scontri sono in corso a Jenin, Ramallah, Hebron, Betlemme e in altre città della Cisgiordania. Il bilancio delle vittime si aggiorna in continuazione e domani si teme sarà peggio», spiega il prelato che aggiunge come le cose sono ancora peggiorate e il processo di pace si è arrestato dopo la decisione di Trump di spostare l’ambasciata Usa a Gerusalemme. «Non solo ha scatenato il risentimento palestinese ma ha anche spaccato la società israeliana. Qui in città ci sono israeliani che esultano e altri che contestano. Credo sia necessario», conclude mons. Faltas, «ricordare la parole di Papa Giovanni Paolo II, quando disse che se non ci sarà pace a Gerusalemme, sarà impossibile la pace in tutto il mondo. Gerusalemme è una città unica e deve essere una città per tutti e di tutti».
ABU MAZEN CONTRO ISRAELE: “UN MASSACRO”
Torna a scorrere il sangue a Gaza nel giorno in cui gli Stati Uniti spostano l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. Il ministero della Sanità di Gaza riferisce di 52 morti, di cui otto hanno meno di 16 anni. I feriti invece sono 1.703. Il presidente palestinese Abu Mazen ha proclamato tre giorni di lutto per quello che definisce un «massacro» e si è detto pronto a rifiutare qualsiasi mediazione di pace americana. Ma la condanna ai raid condotti da Israele è globale: arriva dall’Onu, dall’Unione Europea, dalla Francia, dal Regno Unito, dal Liban e dal Qatar. Federica Mogherini, Alta rappresentante per la politica estera dell’Unione europea, ha lanciato un appello: «Ci aspettiamo che tutti agiscano con la massima moderazione per evitare ulteriori perdite di vite». Un portavoce della prima ministra britannica, Theresa May, ha dichiarato: «Siamo preoccupati dalle notizie di violenze e perdite di vita a Gaza. Chiediamo calma e moderazione per evitare azioni distruttive degli sforzi di pace». Il trasferimento dell’ambasciata è stato invece definito «inutile in termini di prospettive di pace nella regione». (agg. di Silvana Palazzo)
TURCHIA E IRAN CONDANNANO ISRAELE
Gli Stati Uniti aprono l’ambasciata Usa a Gerusalemme su decisione di Donald Trump e la tensione nell’area è cresciuta e poi esplosa in queste ore Sono 43 i palestinesi uccisi, tra cui almeno sei minori, come riferisce Amnesty International, e oltre duemila feriti nella guerriglia al confine tra Israele e Palestina. Gli scontri sono avviati comunque alla conclusione: alcuni gruppi di dimostranti stanno abbandonando la zona di confine con Israele e stanno rientrando nelle città di Gaza con autobus messi a loro disposizione da Hamas. In queste ore è arrivata la condanna di Turchia e Iran. «Il regime israeliano massacra innumerevoli palestinesi a sangue freddo durante una protesta nella più grande prigione a cielo aperto. Nel frattempo, Trump celebra il trasferimento illegale dell’ambasciata Usa ed i suoi collaboratori arabi cercano di distogliere l’attenzione», ha scritto il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif su Twitter. Il portavoce turco Bekir Bozdag ha dichiarato: «L’amministrazione americana è responsabile tanto quanto Israele di questo massacro». (agg. di Silvana Palazzo)
TRUMP “UN GRANDE GIORNO”
Ivanka Trump e la delegazione Usa ha assistito poco fa all’inaugurazione ufficiale dell’ambasciata americana nel centro di Gerusalemme: mentre parallelamente proseguono gli scontri in tutta Israele, il gesto simbolico nella Città Eterna consolida il rapporto tra Usa e Israele ma inasprisce i toni e i “rapporti” con il mondo arabo e le altre potenze mondiali. «Oggi apriamo l’ambasciata statunitense a Gerusalemme», ha esordito così l’ambasciatore Usa in Israele, David M. Friedman davanti alla presenza della figlia di Trump con marito Jared Kushner al seguito. «Un grande giorno per Israele!», ha scritto il presidente Trump via Twitter, rilanciando il fulcro della protesta mossa contro i due Paesi alleati dai palestinesi in questi giorni. «La capitale di Israele è Gerusalemme. Israele, come ogni stato sovrano, ha il diritto di determinare la sua capitale»: proprio su questo punto espresso da Trump, Hamas ha rimesso i civili palestinesi in piazza e al confine con la Striscia di Gaza per manifestare contro le decisioni di Trump e Netanyahu, “alimentando” la strage compiuta dall’esercito dello Stato Ebraico. Un aereo da combattimento israeliano ha infatti colpito poco fa con un missile un obiettivo nel Nord della Striscia provocando altri morti nella postazione di Hamas presso il campo profughi di Jabalya. La conta tragica delle vittime sale così a 41 con più di 1900 feriti tra i territori occupati, i dintorni di Gerusalemme e la stessa Striscia di Gaza.
PIÙ DI MILLE FERITI
Arrivano tragici aggiornamenti da Gerusalemme e dalla Striscia di Gaza. Oggi, a settanta anni dalla nascita dello Stato di Israele, è stata aperta l’ambasciata degli Stati Uniti d’America a Gerusalemme per volere del presidente Donald Trump. La mossa del tycoon statunitense ha alimentato il fuoco di tensione che pervade l’area, con Hamas che ha avviato una campagna di protesta con migliaia di manifestanti vicino ai reticolati. Rafforzato l’esercito in vista delle proteste, puntualmente accesesi, ed è stato aperto il fuoco al lancio di pietre e molotov, oltre ai tentativi di sfondare la barriera di difesa. Come sottolineato dal Ministero della sanità del governo di Gaza, guidato da Hamas, sono in totale 37 i palestinesi morti “in attacchi sionisti”. Ashraf al-Qudra ha sottolineato che le persone sono state uccise da attacchi sionisti e il numero dei feriti supera il migliaio: 1600 in tutto. Tra le vittime anche un ragazzo di 14 anni. (Aggiornamento di Massimo Balsamo)
“JIHAD CONTRO USA E ISRAELE”
Secondo France Press, il conto dei morti a Gaza e ai confini con Israele è salito a 25 vittime: la replica dell’esercito dopo che i manifestanti si sono avvicinati alla Striscia lanciando pietro e provando a sfondare la barriera è stata durissima. Spari sulla folla con appunto 25 morti, per ora, e un migliaio di feriti: la tensione è a livelli difficilmente vista negli anni recenti e l’intera comunità internazionale è alla finestra per provare a vedere come si evolvono gli intricati destini del Medio Oriente (e intanto la gente muore, di qualsiasi colore o origine siano). Lo spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme è certamente un pretesto che Trump e Netanyahu hanno fornito ai palestinesi che però stanno mettendo in atto un’autentica rivolta di massa che “approfitta” di questo scontro diplomatico per portare avanti la lotta armata contro lo Stato Ebraico. Inquietanti le parole giunte stamattina da Ayman al Zawahiri, capo di Al Qaeda (dopo la morte di Osama Bin Laden, ndr) che in un video ha invocato l’uso della jihad contro Usa e Israele, «invito i fratelli dell’Islam a prendere le armi», spiega nel lungo messaggio intitolato “Tel Aviv è anche una terra di musulmani“. Secondo il leader terrorista, «spostando l’ambasciata Usa a Gerusalemme il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha svelato il vero volto della moderna crociata».
LE PRIME VITTIME SULLA STRISCIA
Purtroppo è caos totale in Israele, come ampiamente previsto e come presagivamo già questa mattina: da Gaza arrivano le notizie dei primi morti frutto delle manifestazioni anti-ebraiche per il caso-ambasciata e per il 70esimo anniversario del riconoscimento di Gerusalemme Est. Sono per ora 8 le vittime e 140 i feriti in poco più di due ore di scontri: numeri a cui siamo abituati ma che ogni volta affondano il colpo tragico di morti su morti che accadono davanti all’impotenza (spesso colpevole) della comunità internazionale. Secondo l’agenzia Maan, alcuni dimostranti palestinesi hanno tagliato il filo spinato di fronte alla barriera nel tentativo di penetrare nella parte ebraica ma sono stati ricacciati indietro dall’esercito israeliano che ha sparato gas lacrimogeni sulla folla. Scontri anche in Cisgiordania, mentre la zona dell’ambasciata di Gerusalemme resta super blindata per la presenza della figlia di Donald Trump; l’aviazione israeliana aveva lanciato volantini sulla Striscia di Gaza questa mattina invitando i palestinesi a tenersi lontano dal confine e a non partecipare ad attività violente. Secondo altre fonti, come l’agenzia Wafa, tra la Città Eterna, la Striscia e i territori controllati da Israele, ci sarebbero già 500 feriti in poche ore di manifestazioni.
VIOLENTI SCONTRI ANCHE A GAZA
La chiamiamo “nuova” ambasciata Usa perché a Gerusalemme non vi era mai stata ma la vera nuova sede sarà costruita nei prossimi mesi: questo però non inficia di una virgola il grado e livello di scontri che in queste ore si assistono in Israele per la doppia ricorrenza dei 70 anni della dichiarazione di Gerusalemme Est e dello spostamento della sede diplomatica americana da Tel Aviv appunto nella Città Santa. Un’occasione simbolica con scontri e tensioni purtroppo realissime: diversi feriti tra poliziotti e manifestanti sia a Gerusalemme che nei territori occupati a Gaza. «Si sono avvicinati alla frontiera e hanno lanciato pietre in direzione dei soldati che hanno risposto sparando», spiega Repubblica: sulla Striscia come nella Capitale, il livello di tensione rischia di salire ancora nelle prossime ore e non si può escludere purtroppo che il sangue scorra ancora più forte. Mancheranno quasi tutti i Paesi importanti del mondo che dissentono sulla scelta di Trump di piazzare la sede dell’ambasciata a Gerusalemme senza riconoscere, per ora, la duplice paternità di quella città tra israeliani e palestinesi. Da qui, anche come preteste, la nuova ondata di proteste e violenze in gran parte dello Stato Ebraico.
SI APRE LA NUOVA AMBASCIATA USA A GERUSALEMME
L’adesione degli Stati Europei alla apertura della ambasciata Usa a Gerusalemme è di quelle tra il freddo e il gelido: solo 4 Paesi in tutta l’Unione Europea hanno deciso di partecipare domani, 14 maggio 2018, all’inaugurazione della nuova ambasciata Usa a Gerusalemme. Si tratta di Romania, Austria, Ungheria, Repubblica Ceca, mentre tutto le “big” hanno deciso di dare “buca” per sottolineare la contrarierà della mossa di Trump di spostare da Tel Aviv a Gerusalemme (come del resto era già stato deciso da Clinton parecchi anni fa) l’ambasciata americana nello stato alleato di Israele. I quattro paesi fanno parte della lista di 33 ambasciatori e incaricati d’affari presenti alla cerimonia e diffusa dal ministero degli affari esteri israeliano: il motivo di questa decisione molto forte a livello diplomatico di Germania, Francia, Italia, Spagna e tutti gli altri è presto che detto, con l’Ue che riconosce Gerusalemme capitale di due Stati e quindi in opposizione con la scelta di Trump di dare solo ad Israele la “paternità” diplomatica della Città Santa. Il grosso rischio per la giornata di domani comunque sarà tutt’altro che formale, con il possibile (probabile) scontro armato con i palestinesi che si oppongono con forza a quello che considerano un “sopruso di Trump e Netanyahu alla storia”: la giornata di domani inizia poi una settimana decisiva in cui si ricorda l’anniversario della conquista di Gerusalemme Est da parte dello Stato Ebraico nel 1967 (oltre alla “solita” manifestazione dei ribelli di Gaza il venerdì). Sette giorni durissimi in cui si rischiano gravi scontri tra i palestinesi in rivolta e gli israeliani, dove la diplomazia verrà accompagnata anche dalla difficilissima politica interna reale.
IVANKA TRUMP, “ENORME GIOIA PER RITORNO A GERUSALEMME”
Non ci sarà Donald Trump, ma manderà un video messaggio per quella che resta una giornata storica. Inizialmente il presidente Usa aveva espresso l’auspicio di assistere all’inaugurazione, «ma alla fine a rappresentarlo ci saranno la figlia Ivanka con il marito Jared Kushner, già arrivati a Gerusalemme», ha spiegato l’Ansa su fonti Medio Oriente. Assieme alla figlia del Presidente ci saranno anche il segretario al Tesoro Steven Mnuchin e il suo vice, John Sullivan. Due giorni fa la figlia del presidente aveva scritto sui social di provare «una enorme gioia per il ritorno a Gerusalemme, onorata di partecipare all’inaugurazione. Aspettiamo di celebrare il 70esimo anniversario di Israele e il luminoso futuro che abbiamo davanti. Preghiamo per il potenziale sconfinato del futuro dell’alleanza Usa-Israele, e preghiamo per la pace». A livello strutturale l’ambasciata Usa verrà provvisoriamente ospitata dai locali dove si trovava il consolato americano, in attesa della costruzione di una nuova sede nei prossimi mesi.