Rischia di scoppiare un nuovo scandalo dalle dimensioni inimmaginabili negli Stati Uniti, con il Procuratore Robert Mueller che intende interrogare il presidente Donald Trump, in merito allo scandalo Russiagate, ovvero, le accuse di presunta manipolazione da parte dei voti durante la campagna elettorale, coinvolgenti anche alcuni hacker russi. A riguardo attenzione alla posizione doi Rod Rosenstein, il viceministro della Giustizia, da cui dipende lo stesso Mueller, e che da tempo viene accusato di non consegnare i documenti riguardanti appunto lo scandalo russo: «Ci sono persone che mi hanno rivolto minacce – le parole dello stesso Rosenstein, riportato da Il Giornalepubblicamente o privatamente, da diverso tempo e credo che ormai dovrebbero averlo capito: il dipartimento di Giustizia non cederà alle estorsioni». Si riferisce ovviamente ai repubblicani, che vorrebbero rimuoverlo dal suo incarico (procedura simile all’impeachment), se lo stesso non accetterà le richieste di controllo del suo operato. «Qualsiasi minaccia – ha aggiunto – da chiunque arrivi, non può avere affetti sul modo in cui noi facciamo il nostro lavoro, abbiamo una responsabilità ed abbiamo giurato». (aggiornamento di Davide Giancristofaro)



QUALE AVVOCATO POTREBBE DIFENDERE TRUMP?

Trump ha intenzione di assumere l’avvocato che anni fa rappresentò Bill Clinton nel ben noto processo per impeachment sullo scandalo sessuale per Monica Lewinsky. Secondo il New York Times, il presidente degli Stati Uniti vorrebbe assumere Emmet Flood, «per sostituire Ty Cobb come consigliere legale della Casa Bianca per le indagini del procuratore speciale Robert Mueller sul cosiddetto Russiagate». Cobb infatti settimane fa ha annunciato di voler andare in pensione a fine mese e dunque il Presidente potrebbe scegliere, in un possibile processo con simile epilogo (l’impeachment) un avvocato che di cause del genere se ne intende eccome. «Ad un certo punto non avrò altra scelte che usare i poteri concessi al presidente ed entrare in campo», ha scritto oggi su Twitter Donald Trump, sfidando apertamente il procuratore Mueller, colpevole di aver “lasciato sfuggire” le notizie alla stampa sulle domande legate al report Russiagate. (agg. di Niccolò Magnani)



TRUMP, “DOMANDE SU COMEY SONO ILLEGALI”

Dopo il rumorosissimo “scoop” secondo cui Mueller avrebbe dato pochi giorni a Trump prima di intervenire direttamente con un mandato ufficiale davanti al gran giurì, non manca la replica netta e dura del Presidente Usa che su Twitter cita le parole dell’avvocato Joe Digenova (che tra l’altro non fa parte del suo team di legali) sostenendo «illegali le domande che Mueller vorrebbe fare al presidente sul siluramento del capo Fbi James Comey o del Consigliere Michael Flynn». Per Trump infatti la «Costituzione consente al presidente di licenziare qualunque dipendente del governo»: il Russiagate nuovamente spacca l’opinione pubblica americana, nella settimana in cui dazi, Medio Oriente e pace in Corea del Nord avevano giustamente preso il sopravvento sulle “beghe interne” delle interferenze russe nelle Elezioni 2016. Trump ha attaccato ovviamente i media che hanno fatto uscire senza alcun permesso le domande che il Procuratore vorrebbe citare al Presidente in una eventuale comparizione in tribunale, chiamandola «una caccia alle streghe». (agg. di Niccolò Magnani)



LA FUGA DI NOTIZIE

Chi è responsabile della fuga di notizie? I rapporti tra stampa e magistratura evidentemente funzionano negli Stati Uniti come in Italia. Un incontro, riservatissimo, quello avvenuto a marzo tra il procuratore speciale incaricato di seguire il cosiddetto caso Russiagate Robert Mueller e gli avvocati di Donald Trump (uno dei quali si è poi dimesso per divergenze sulla linea da seguire con i suoi colleghi) sparato sulle prime pagine di Washington Post e New York Times, i due quotidiani americani paladini dei liberal. Sul secondo quotidiano pubblicate anche le 49 domande che Mueller ha sottoposto agli avvocati in caso riesca a portare il presidente americano davanti al grand jury, unica possibilità per il procuratore di interrogare Trump, visto che in qualità di presidente non sarebbe tenuto a rispondere. Non ha torto dunque Trump quando parla di stampa almeno in parte schierata contro di lui evidentemente. Tra le domande che il procuratore ha preparato spiccano quelle relative al licenziamento del direttore dell’Fbi Comey e del primo consigliere per la sicurezza nazionale Flynn (Agg. Paolo Vites)

LA FUGA DI NOTIZIE

Il Procuratore speciale incaricato sulle indagini del Russiagate, Robert Mueller, vuole interrogare Donald Trump (e questa non è una novità), ma vuole ora evocare un mandato ufficiale per poter far comparire il Presidente Usa davanti al gran giurì e tempestarlo di domande sui rapporti Usa-Russia e i vari presunti indizi di una manipolazione del voto durante le campagna elettorale. Insomma, il nemico n.1 del Procuratore “deve essere sul banco degli imputati” ma non è certo una strada facile, anche perché saremmo comunque in una democrazia e ci vogliono prove valide per poter invocare una sorta di “unicum” della storia americana. Secondo il Washington Post, che riporta di una serie di incontri tra Mueller e gli avvocati del Presidente repubblicano, la mossa del mandato potrebbe portare ad uno storico conflitto davanti alla Corte suprema Usa. Non solo, Trump sarebbe su tutte le furie per la “fuga di notizie” uscita in questi mesi che avrebbe condizionato l’opinione pubblica verso una campagna di pressione verso il processo al tycoon. Gli avvocati avevano riferito che il Presidente non ha alcun obbligo nel parlare con gli investigatori federali a riguardo delle presunte interferenze russe nelle Presidenziali 2016, ma Mueller ha minacciato l’uso del mandato per farlo comparire “per forza”.

MA LA VIA DELL’IMPEACHMENT È ASSAI IRTA

Per provare a convincere e mettere pressione a Trump e alla sua cerchia, Mueller ha indirizzato loro una serie di 60 domande che sarebbero la base dell’interrogatorio al Presidente Usa: le ha pubblicate il New York Times nei giorni scorsi, con i quesiti che spaziano dai rapporto con la famiglia allargata ai post sui social, dai tantissimi licenziamenti (su tutti quello del direttore Fbi James Comey e del Consigliere nazionale Michael Flynn) fino al tanto discusso e presunto incontro nel 2016 alla Trump Tower tra i collaboratori del candidato repubblicano (su tutti il primogenito Donald Junior) ed emissari di Mosca che avevano promesso notizie diffamanti sulla avversaria democratica alle elezioni Usa, Hillary Clinton. Resta però difficile e assai irta la strada verso l’impeachment, il vero obiettivo di Mueller e di buona parte dell’establishment americano (non solo tra i Democratici, ndr): un po’ perché riuscire a interrogare il Presidente Usa durante il suo mandato è un’eccezionalità capitata poche volte nella storia degli Stati Uniti e poi soprattutto perché l’impeachment è un processo prima di tutto politico e non legale-giudiziario. Come giustamente sostiene il Post in una dettagliata analisi condotta questa mattina, «Perché un presidente statunitense sia rimosso dal suo incarico è necessario che la maggioranza semplice della Camera voti a favore e che poi facciano lo stesso i due terzi dei senatori. Al momento i Repubblicani controllano sia la Camera sia il Senato. Le cose potrebbero cambiare dopo le elezioni di metà mandato, a novembre, ma è troppo presto per predire in che modo».