All’inizio della settimana scorsa (14-15 maggio), si è svolto il nono round dei negoziati di pace per la Siria, ad Astana (Kazakistan). Nell’incontro la Russia, la Turchia e l’Iran hanno riaffermato il loro impegno per la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale della Siria sulla base della risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e l’esito del Congresso del dialogo nazionale siriano di Sochi. Tutti i partecipanti si sono ritrovati concordi nel proseguire nel dialogo intrapreso come paesi garanti, ribadendo la propria determinazione a combattere il terrorismo in Siria, al fine di eliminare l’Isis, il gruppo terroristico Jabhat al-Nusra e tutte le altre persone, gruppi, imprese ed entità associate legati ad essi.
Si è inoltre convenuto di proseguire su base regolare le consultazioni congiunte insieme al rappresentante speciale Onu per la Siria, De Mistura, a quello siriano Jaafari e all’opposizione per preparare il lavoro della commissione costituzionale che opererà sotto l’egida dell’Onu, a Ginevra.
In questa prospettiva, aiutano le dichiarazioni del capo delegazione dell’opposizione Ahmed Tomeh, che al termine dei lavori, in un’intervista rilasciata a Russia Today, ha affermato che “l’opposizione siriana ha sbagliato a prendere le armi” e che “molti leader militari dell’opposizione siriana sono attualmente inclini a una soluzione politica”. Proseguendo, Tomeh ha manifestato la speranza che per quando riguarda Idlib — che è ormai rimasta l’unica città di rilievo in mano ai militanti — si possa passare “da una zona di riduzione della tensione a una zona di cessate il fuoco”. Infine ha concluso la sua dichiarazione dicendo che “l’opposizione non aspirava a diventare un giorno un’autorità alternativa al regime”, ma che l’obiettivo era “passare dalla dittatura alla democrazia”.
Come era prevedibile, la posizione del capo delegazione dell’opposizione (legata ai Fratelli musulmani) ha suscitato polemiche nel suo seguito e ha scatenato le critiche dei radicali islamici sui social. Nonostante ciò, le dichiarazioni di Tomeh sono di tale portata che è assai difficile che esse non siano state preventivamente concordate con i propri referenti regionali. E’ plausibile che questo segnale di apertura sia stato indotto dall’ulteriore avvicinamento della Turchia alla Russia e dalla progressiva generale erosione della fiducia nei confronti degli Stati Uniti da parte di molti paesi del Medio oriente (manifestata chiaramente dall’esito delle elezioni in Libano e in Iraq).
Inoltre, un ulteriore segnale di miglioramento della situazione politica generale è costituito dalla “visita a sorpresa” del presidente siriano Bashar al Assad al suo omologo russo Putin, avvenuta giovedì scorso, a Sochi. Questo incontro segue i significativi successi dell’esercito governativo siriano nella lotta contro i gruppi terroristici in tutto il territorio nazionale.
A tal proposito, il presidente siriano aveva già detto precedentemente che “il processo politico poteva andare avanti solo dopo la liberazione dei punti nevralgici del paese dai terroristi, nonché della messa in sicurezza delle vie di comunicazione”, cosa che è avvenuta e ha consentito la riapertura dell’ultima grande arteria ancora interrotta, l’autostrada Homs-Damasco.
Di conseguenza, Assad ha coerentemente espresso il desiderio di riprendere a tutti gli effetti un processo politico che porti al pieno raggiungimento della pace. Egli ha manifestato la completa disponibilità a predisporre una nuova fase di rinnovamento delle istituzioni e allo scopo ha comunicato di aver approntato una delegazione governativa che si recherà nei prossimi giorni all’Onu per trovare il più ampio consenso possibile intorno a una nuova Costituzione.
Naturalmente per facilitare questo percorso molto potrebbe fare l’Europa non rinnovando le inique sanzioni contro la Siria in scadenza a giugno. Come ha detto Idriss Jazairy, un esperto nominato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la “conseguenza involontaria delle sanzioni unilaterali contro la Repubblica araba siriana è che il popolo siriano è privato dai suoi urgenti bisogni umanitari”.
Nel senso di un auspicato riposizionamento europeo nei confronti della Siria, è confortante l’inedita disponibilità della Germania “di partecipare seriamente alla ricostruzione delle infrastrutture socio-economiche della Siria”: è quanto comunicato dal cancelliere tedesco Angela Merkel all’omologo russo nel corso della sua visita a Sochi, avvenuta a ruota, il giorno dopo la visita di Assad.
Ovviamente non è estranea a questa scelta la decisione europea di non supportare all’infinito le conseguenze delle restrizioni economiche inflitte da Trump, in particolare quelle contro l’Iran, a seguito dell’uscita unilaterale dall’accordo sul nucleare.