Come annunciato all’indomani della strage avvenuta sulla Striscia di Gaza la scorsa settimana, l’Autorità Nazionale Palestinese ha chiesto ufficialmente alla Corte Penale de L’Aja di indagare ufficialmente su Israele e sui suoi insediamenti. Il ministro degli Esteri palestinese Riad Malki è oggi alla Corte Penale Internazionale de L’Aja per poter chiedere ai magistrati internazionali di poter aprire una indagine immediata sui territori controllati dallo Stato Ebraico nei territori palestinesi. Secondo una nota ufficiale dell’Anp, citata dall’Associated Press poco fa, il ministro Malki sosterrà davanti ai giudici di avere «prove convincenti del fatto che siano stati commessi gravi crimini, prove sufficienti a giustificare un’inchiesta immediata». Non è una novità quella degli attacchi diplomatici tentati dalla Palestina contro lo Stato Ebraico, tanto che quando nel 2015 l’Anp entrò a far parte della CPI, Israele provò ad opporsi perché temeva che esattamente come avvenuto con l’Unesco, anche nella Corte si potesse mettere sotto pressione internazionale lo stato d’Israele.



LA REPLICA DI ISRAELE

La richiesta di oggi arriva dopo le tensioni a Gaza e nei vari Territori insediati dopo lo spostamento dell’ambasciata americana a Gerusalemme, ma da tempo la “strategia diplomatica” palestinese era stata messa in atto per mettere in continua difficoltà gli israeliani. «Il deferimento è legalmente invalido: la Cpi non ha giurisdizione sulla questione israelo-palestinese, in quanto Israele non è un Paese membro di quella Corte e la Autorità palestinese non è uno Stato», ha fatto sapere subito il ministro degli Esteri israeliano, aggiungendo che Tel Aviv si aspetta dalla Corte de l’Aja che non ceda alle pressioni palestinesi. Secondo l’attacco diplomatico di Abu Mazen e Malki, il deferimento richieste dovrebbe coprire «e azioni israeliane passate, presenti e future nel territorio occupato dello Stato di Palestina, inclusa Gerusalemme Est». È chiaro che Israele non condivida una sola riga di quella richiesta ufficiale anche perché – pur non facendo parte della Cpi – potrebbe vedersi incriminati i cittadini laddove commettano “reati contro il territorio” o “contro un cittadino di uno Stato che ne sia membro”.

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