Sembrava tutto troppo bello. Donald Trump, con un messaggio inviato personalmente a Kim Jong-un, annuncia di voler sospendere il summit programmato per il 12 giugno a Singapore tra i due. Lo fa proprio nel giorno in cui, alla presenza di alcuni giornalisti della Corea del Sud, ma non della commissione di tecnici internazionale come era stato richiesto, viene smantellato completamente il sito nordcoreano dei test nucleari. Il motivo? Le critiche corredate di qualche insulto (invero molto “light”) del viceministro degli Esteri nordcoreano al vicepresidente Mike Pence che il giorno prima aveva minacciato Kim Jong-un di fare la stessa fine di Gheddafi se non avesse rispettato la denuclearizzazione del proprio paese. “Troppa ostilità” ha scritto Trump “per fare un incontro di pace”. Secondo Francesco Sisci, editorialista di Asia Times, “Trump non voleva essere messo in condizione di vedere Kim ritirarsi dal vertice all’ultimo momento, o mettere gli Usa alla mercé di eventuali colpi di teatro. In passato altri presidenti, internamente più forti, forse avrebbero potuto tollerare queste farse. Trump, debole internamente, ha una tolleranza molto minore. Quindi, dopo un paio di giorni di silenzio dall’avvertimento di Pence, gli Usa hanno deciso di “spegnere l’interruttore per primi. E ora è buio pesto”.
La decisione di Trump di far saltare il vertice di Singapore sembra davvero banale, sembra quasi che aspettasse l’occasione giusta per non incontrare Kim Jong-un. Che ne pensa?
Credo che Trump il summit voglia ancora farlo ma, come abbiamo già detto recentemente, vuole che sia chiaro che è una resa, che gli Usa dettano le condizioni, che non si farà prendere in giro da eventuali ripensamenti all’ultimo minuto da parte di Kim.
Ancora una volta il dialogo diplomatico di Trump si esprime in modo minaccioso e quasi brutale, è così?
Trump dice: siamo noi che comandiamo e dettiamo le condizioni. Se, caro Kim, non ti sta bene, allora siamo pronti a tutto. Non puoi ricattarci. Il problema è che così sono saltate tutte le ambiguità diplomatiche che sono carne e ossa di ogni trattativa, ed è diventata una resa condizionata del Nord. Con gli Usa che hanno già incassato dei dividendi: dei prigionieri americani sono stati restituiti e istallazioni nucleari del Nord sono in corso di smantellamento.
La Corea del Nord ha aperto al dialogo grazie alla pressione della Cina; Pechino ha già commentato la decisione di Trump? Come reagirà?
Pechino non ha commentato ma è chiaramente la grande sconfitta di questa partita. Già alcuni commentatori americani dicono che l’irrigidimento di Kim davanti alle manovre militari sarebbe arrivato su suggerimento di Pechino, dopo il secondo vertice tra Xi e Kim a Dalian. Cioè a dire: se si fa la pace con la Nord Corea, gli Usa la fanno nonostante la Cina. Questo significa che viene meno quello che in passato era il dividendo nascosto maggiore della trattativa ovvero un avvicinamento tra Washington e Pechino. Paradossalmente oggi questo è il punto vero: vertice o non vertice, pace o non pace in Corea, Pechino è il cattivo di questo dramma. Date poi le tensioni profonde tra Washington e Pechino su tanti campi ciò vuol dire che è in Cina che vedremo la vera tensione aumentare nei prossimi mesi.
Nello stesso giorno in cui Trump sospende il vertice, è stato smantellato il sito ufficiale nucleare nordcoreano: sembra che Kim Jong-un abbia preso seriamente e onestamente l’impegno alla denuclearizazione. O c’è qualcosa che non sappiamo?
I giornalisti americani a Pyongyang dicono di avere consegnato loro il messaggio di Trump ai funzionari nordcoreani. Questi sono rimasti basiti, e si sono attaccati al telefono. Quindi pare che effettivamente siano stati presi di sorpresa. Il che ci porta a dire che oggi in questa trattativa non è solo Pyongyang a essere imprevedibile, lo è anche Trump. Il che significa moltiplicare i rischi.
Nel suo messaggio Trump si dichiara disponibile a fare il summit se la Nord Corea cambierà atteggiamento. Ci sono i margini per riaprire il dialogo?
Trump è ancora aperto verso Pyongyang, ma con grande cortesia dice a Kim: la trattativa si fa alle mie condizioni, non alle vostre, oppure non si fa. Ora Kim può fare due cose: o piegarsi o fare il duro. In entrambi i casi esce sconfitto. Ciò lo indebolisce anche al suo interno. In passato questo avrebbe significato automaticamente un indurimento di Pyongyang. Oggi non è detto. Se la Nord Corea si irrigidisce, Washington pretenderà sanzioni feroci contro il Nord da tutti e punirà chiunque non si allinei, a cominciare dalla Cina.
In che modo?
Pechino è disposta a entrare oggi in rotta di collisione con gli Usa per Pyongyang? Ad oggi è improbabile. Quindi la Nord Corea è davvero molto più sola e in difficoltà. Se la Nord Corea si piega può contare sulla magnanimità di Washington, suggerisce Trump, sottolineando che questo vorrà dire generosità e non concessioni strappate dal Nord sulla punta delle loro baionette. La Cina in tutto questo, con una resa, avrebbe guadagnato qualche mese, e capito davvero l’aria che tira a Washington.
(Paolo Vites)