Mentre i gruppi terroristi islamisti rialzano la testa con un ennesimo attentato a Bengasi che ha provocato almeno otto vittime, Macron approfitta della situazione di vuoto governativo del nostro paese per fare un ulteriore passo per la “conquista” della Libia. “Il generale Haftar è in grave difficoltà e Bengasi si dimostra ancora una città dove le milizie islamiste non sono mai state sconfitte del tutto” ci dice da Tunisi Michela Mercuri, docente di storia contemporanea dei Paesi mediterranei. Aggiungendo che tra Serraj e lo stesso Haftar nonostante le promesse fatte a Macron nel luglio dello scorso anno non c’è mai stato alcun riavvicinamento e il paese continua a essere diviso. In questo quadro, spiega ancora Mercuri, Macron fa un nuovo passo di propria iniziativa per espropriare l’Italia del suo ruolo in Libia e procurarsi vantaggi di immagine, politici ed economici.



Nuovo attentato a Bengasi, si tratta di un ritorno dell’Isis? Come è la situazione attuale nella lotta al terrorismo?

L’attentato dell’altra notte non è riferibile in via prioritaria allo stato islamico, perché a Bengasi sono presenti diversi gruppi islamisti. E’ probabilmente da addebitare a questi gruppi che rialzano la testa in un momento di particolare difficoltà del generale Haftar.



Come sono le sue condizioni di salute dopo il ricovero a Parigi e come è la situazione nei territori da lui controllati dopo un’assenza di oltre un mese?

Si è creato ovviamente un vuoto di potere. Bengasi venne conquistata nel 2014 dallo stato islamico perché alcune delle milizie locali islamiste si erano alleate con l’Isis. Haftar intraprese una guerra che sembrava aver riconquistato Bengasi ma dopo il suo lungo ricovero si sono risvegliati forse anche esponenti dell’Isis, testimoniando che è la città più contesa e dove si combatte ancora. 

Le due Libie: come sono attualmente i rapporti tra Haftar e Serraj?



Sono rigidi quando esistenti. Non dialogano da quando si sono visti a Parigi nel luglio 2017, promettendo una riconciliazione politica a cui non hanno dato seguito. Ci sono stati altri incontri senza alcuna proposta politica concreta, di fatto si guardano rivendicando il proprio potere e sono in contrasto tra loro.

Il 29 maggio si terrà a Parigi un supervertice voluto da Macron a cui è stato invitato l’Onu e molti paesi, dalla Cina agli Usa, dal Qatar alla Russia. Con una Libia divisa ancora in due, che significato ha questo vertice?

Ha una importanza simbolica che testimonia il tentativo di Macron di muoversi in maniera autonoma per poi trarne un vantaggio di immagine, politico ed economico. Lo scorso luglio invitò a Parigi i due leader libici senza neanche avvertire Gentiloni, adesso sfrutta il vuoto politico italiano organizzando questa conferenza. Va detto che però ha fatto tesoro dell’errore dell’altra volta.

Cioè? 

Questa volta non ha invitato solo Haftar e Serraj, perché ha capito che non rappresentano la Libia ma solo una minima parte di essa. Ha invitato molti altri soggetti istituzionali come il vicepresidente del Senato di Tripoli, che rappresenta i Fratelli musulmani, e molti sindaci. Ha invitato molte nazioni che sostengono uno e l’altro leader e anche l’Italia. Da un punto di vista pratico è l’ennesimo tentativo di stabilizzazione della Libia, questa volta più articolato perché vede la partecipazione di attori locali regionali e internazionali. Ma in sostanza Macron vuole di nuovo fare le scarpe all’Italia per la seconda volta.

Non sarebbe il caso che il nostro paese questa volta alzasse la voce?

L’Italia avrebbe dovuto alzare la voce già lo scorso luglio, ma anche prima, quando Macron respinse l’offerta dell’allora ministro Minniti di una collaborazione fra i due paesi sui temi dei migranti. In Italia il governo si sta formando, è difficile adesso dire qualcosa, non sappiamo neanche chi sarà il ministro degli Esteri, ma mi auguro che alla luce di quanto accaduto e di quanto accadrà il 29 maggio si faccia tesoro e si punti a una politica estera che sappia superare l’interesse nazionale.

Dati del ministero degli Interni dicono che il numero dei migranti dalla Libia negli ultimi mesi è molto calato, come è la situazione su questo fronte?

Non arrivano perché sono bloccati in Libia per via degli accordi tampone che abbiamo fatto con la guardia costiera e alcune milizie. Nei centri di detenzione sembra siano bloccate circa 700mila persone di cui non sappiamo assolutamente lo stato. Sono diminuiti gli arrivi dalla Libia, ma sono aumentati dalla Tunisia, secondo i dati del ministero i tunisini come numero di sbarchi sono la seconda nazionalità. Si chiude una rotta e se ne apre un’altra.

(Paolo Vites)