La guerra siriana è cominciata come una guerra di aggressione contro il governo siriano colpevole di essere alleato dell’Iran, in sostanza perché considerato un pericolo per Israele. Lo diceva chiaramente l’allora segretario di Stato Hillary Clinton in una mail pubblicata da Wikileaks, confermando che l’amministrazione Obama ha provocato una guerra civile in Siria per “salvare Israele”.



Quindi l’Isis è un fenomeno indotto dall’aggressione statunitense in Iraq e la guerriglia siriana, come abbiamo mostrato ormai in decine di articoli, è stata finanziata da Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Turchia e Stati del Golfo: oggi, sfumato il pericolo dei terroristi, tutto ciò viene a galla con forza. Questa breve valutazione rispecchia gli avvenimenti sul campo. I raid degli aerei israeliani su postazioni filo-iraniane e iraniane si fanno più frequenti. L’ultimo è avvenuto il 24 di maggio, è stato effettuato da aerei “invisibili” F35 dal confine siro-libanese contro la base aerea siriana di Al Daba’a-Qusayr. L’obiettivo erano le forze Hezbollah libanesi: sono state colpite proprio mentre si preparavano per andare in guerra contro l’Isis, nella zona che occupa nel deserto vicino a Deir el Zor. 



E’ la misura di come lo scenario attuale non lasci margini di illusione circa il rispetto che l’occidente tributa al diritto internazionale, alla sovranità degli stati o semplicemente all’esercizio della moralità in politica estera.

La consapevolezza di questo ed il raggiungimento di tutti gli obiettivi prefissati in Siria, ha fatto decidere Mosca di porsi come mediatore neutrale tra tutte le parti, senza schierarsi apertamente — in questa fase — da una parte o dall’altra.
Quello che spera la Russia è riuscire a dare garanzie e fare pressioni su tutte le parti affinché Israele e Stati Uniti abbandonino l’idea di un nuovo conflitto in territorio siriano, contro gli iraniani. Il solo modo per riuscirci è accettare che la Siria sia abbastanza depotenziata e scollegata dall’Iran. In altri termini, la strada è accettare l’attuale divisione della Siria e l’occupazione dei confini da parte di Turchia e Stati Uniti.



Assad sembra aver capito che questa, anche se dolorosa, è l’unica strada percorribile. Così ha fatto un’importante apertura in questa direzione: nell’incontro tra Putin ed Assad del 17 maggio a Sochi è stata superata la posizione siriana di netto rifiuto di qualsiasi intromissione esterna alla riscrittura della Costituzione. In definitiva Damasco sembra capire ed accompagnare la politica russa, consapevole che Mosca cerca di consolidare gli importanti risultati raggiunti. E’ perciò in questo senso che inaspettatamente, la settimana scorsa, il ministro degli Esteri siriano ha espresso pubblicamente il desiderio di riconciliarsi con Ankara. 

Inoltre — complice i malumori europei nei confronti della politica sanzionatoria statunitense contro l’Iran — nei recenti incontri bilaterali con i principali capi di Stato europei, Mosca è riuscita ad ottenere una diminuzione di ostilità verso la Siria. 

In particolare, dopo l’incontro a Sochi con la Merkel, il 24 maggio Putin ha incontrato il presidente francese Macron al Forum economico internazionale di San Pietroburgo. Durante il colloquio che è durato tre ore, il presidente francese ha concesso alla Siria 50 milioni di aiuti umanitari ed ha concordato con Mosca la creazione di un gruppo congiunto di coordinamento composto da Francia, Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti, Giordania e Arabia Saudita che lavori in collaborazione con i negoziati di Astana per la soluzione politica della crisi siriana. 

Parigi non parla solo di Siria, porge la mano anche per un miglioramento delle relazioni complessive. “Abbiamo permesso che qualche incomprensione penetrasse nelle nostre relazioni bilaterali … E vorrei oggi poter andare avanti di pari passo”. E’ segno quindi di un generale miglioramento delle relazioni, che avranno anche riscontro in Siria.

Tutte le dichiarazioni che recentemente Putin ha rilasciato corroborano questa valutazione. Egli ha più volte detto che la Russia è interessata non tanto alla riconquista — da parte del governo siriano — di tutta la Siria, quando al raggiungimento di una situazione di stabilità e sicurezza. 

Per il raggiungimento di questo obiettivo, durante la recente visita di Assad in Russia, Putin ha ribadito che è necessario che tutte le forze straniere lascino la Siria. L’inviato speciale russo per la Siria, Alexander Lavrentiev, ha dettagliato che Putin — dicendo “forze straniere” — si riferiva a “tutte le forze armate straniere di stanza in Siria, comprese le forze americane, turche, iraniane e combattenti di Hezbollah”.

Da parte sua l’Iran non rinuncia alla presenza in Siria, rimarrà finché il governo siriano lo richiede. Però, consapevole dei rischi, sta allontanando le proprie unità da alcuni siti come Daara, trasferendole a Damasco o ridislocandole al nord della Siria, lontano dal confine israeliano.

Sembra proprio che il tentativo di Putin sia quello di realizzare per la Siria la condizione di un conflitto “congelato”. Questo termine viene usato quando non si arriva ad una cessazione di un conflitto ma di fatto viene realizzata una condizione di “non-combattimento” in cui il governo siriano eserciterà pienamente la sua sovranità solo sulle aree riconquistate. Ciò non toglie che nello stesso tempo la Russia continuerà ad appoggiare Damasco ed aumentare il divario tra Stati Uniti e Turchia ponendosi come partner credibile, favorendo gli accordi e gli interscambi commerciali con Ankara. 

Per il nodo della presenza Usa nel nord della Siria nessuna fretta: sarà affrontato successivamente, quando e se possibile.