La grande fase della globalizzazione programmata a tappe forzate ha subito uno stop, come era prevedibile. E purtroppo per il profeta, improvvisato e disarmato, Francis Fukuyama, la storia è ritornata con tutta la sua ironia, la sua razionalità e la sua imprevedibilità, tanto da riproporsi sempre come “filosofia della storia”, da conoscere bene e interpretare.



Probabilmente non ritorna solo la storia, ma anche la politica, quanto mai necessaria per calibrare le tappe di una globalizzazione inevitabile e indispensabile, ma da declinare secondo le esigenze di Paesi diversi e con uno spirito costruttivo che non può essere scandito solo dagli algoritmi e dalla logica dei mercati. 



Lasciamo perdere le opposte tifoserie dei commentatori (chissà in che modo interessati) tra filo-Trump e anti-Trump, tra blocco europeo (con canadesi e giapponesi) e “The Donald”, che ha, di fatto, scassato il G7 di Charlevoix in Canada. Il presidente americano ha nientemeno che sconfessato il comunicato congiunto che comprendeva la questione dei dazi e del commercio mondiale, e ha per di più etichettato come “molto disonesto e debole” il premier canadese Justin Trudeau. 

Se il sistema del Wto era da aggiornare, ora bisogna proprio ripartire da capo. E’ questo il punto decisivo: bisognerà rivedere il sistema su cui in questi anni, per la verità, si è visto di più e di tutto.  



Donald Trump è schematico, sbrigativo e a tratti brutale. Lasciando prima del termine, in modo plateale, il G7, ha detto: “Non possiamo più permetterci pratiche che ci danneggiano. Siamo stati trattati ingiustamente per colpa dei nostri leader passati. Non possiamo andare avanti con una situazione in cui gli Stati Uniti sono il salvadanaio da cui tutti rubano. Abbiamo perso 817 miliardi di dollari. E’ inaccettabile. Vogliamo un commercio libero da barriere, tariffe e sussidi”.

Intanto, con il suo abbandono plateale del G7, Donald Trump offre l’impressione che quello che più gli interessa non sono i problemi dei vecchi alleati, ma piuttosto il summit con il capo coreano Kim Jong-un, con il quale si incontrerà il 12 giugno. In secondo luogo, sconfessando il documento, Trump ha ulteriormente approfondito il solco che divide soprattutto gli Stati Uniti dal Paese economicamente più influente dell’Europa, la Germania. E’ una contrapposizione che permane e chissà quando e se potrà essere superata. La Cancelliera tedesca Angela Merkel aveva detto e commentato freddamente: “Parto dal principio che avremo un testo comune sul commercio, ma questo non risolve i problemi nel dettaglio: abbiamo opinioni differenti dagli Stati Uniti”. E anche l'”enfant prodige” parigino, Emmanuel Macron, il primo della classe che doveva risolvere tutto, ora deve ammettere che i problemi di fondo restano. 

Questo è il nodo principale della questione. Certo oltre alla questione dei dazi, esiste il problema del clima, l’estromissione della Russia e il suo reinserimento nel vecchio G8 chiesto da Trump, oltre alla questione del trattato nucleare iraniano. Ma l’impressione predominante dell’incontro canadese e visti ad esempio i rapporti cercati un po’ ovunque con Putin (anche dalla signora Merkel e dal francese Macron), sembra che sia proprio la questione del commercio mondiale a dover essere presa in considerazione al più presto, su basi nuove. Del resto, alla fine, sono poi sempre i surplus commerciali che uniscono o dividono le nazioni. Questo fatto, forse, qualcuno se lo è completamente dimenticato.

Con la rottura dell’ultim’ora al termine di questo G7 si è fotografata la situazione di profonde divisioni, se non di spaccatura, che esiste nel nuovo mondo globalizzato soprattutto in Occidente. E’ sintomatico quello che ha detto Donald Tusk, il polacco presidente del Consiglio europeo. “Quello che mi preoccupa di più — queste le parole di Tusk — è vedere che l’ordine mondiale, basato su regole comuni, si trovi sfidato non dai soliti sospetti ma sorprendentemente dal suo principale architetto e garante, gli Stati Uniti”. Ma forse Tusk era rimasto all’immagine dell’asse Obama-Merkel, che è superato perché negli Usa, piaccia o non piaccia, purtroppo il nuovo presidente è Donald Trump, non particolarmente simpatico, ma con il quale occorre fare realisticamente i conti. Il problema dovrebbe essere spiegato anche al “lucidissimo” presidente della commissione europea Jean-Claude Juncker. Traduzione: in una simile realtà ci vuole la politica, sia per l’Europa, sia per la stessa Italia della maggioranza giallo-verde del premier (apparso un poco sperduto in Canada) Giuseppe Conte.

Forse anche alla vigilia di questo G7 e con quello che si sta vivendo in Europa e in tutto il mondo, occorrerebbe informarsi sulla situazione del “mondo nuovo”. L’economista Stephen D. King lo ha spiegato in un suo libro recente, Il mondo nuovo: “I sostenitori della globalizzazione tendono ad assumere — erroneamente — che con la globalizzazione staranno tutti meglio o a offrire invece soluzioni tecnocratiche che non ottengono il sostegno delle persone. E hanno rivendicato a fatica quello che sembrerebbe il massimo successo della globalizzazione: per parafrasare Winston Churchill, la globalizzazione è l’accordo economico peggiore a parte tutti gli altri”.

In sostanza la globalizzazione è una strada giusta, ma che va migliorata e dove tutti non possono fare gli affari propri per creare diseguaglianze e squilibri, sopratutto a colpi di surplus commerciale, come avviene anche in Europa. Nascondendo magari sotto il tappeto alcune schifezze finanziarie che potrebbero causare altre catastrofi economiche.