Sebbene la cosa stia suscitando polemiche e dissapori nei confronti del Vaticano, in attesa del tanto atteso inizio di dialoghi veri e propri tra Cina e la Santa Sede, prosegue, secondo quanto comunica oggi l’agenzia cattolica Asia News, il piano per unificare la Chiesa cattolica cinese. Come si sa nel paese esiste una Chiesa ufficiale, detta Associazione patriottica dei cattolici cinesi, completamente gestita dal Partito comunista che decide anche la nomina dei vescovi ovviamente senza il consenso del Vaticano, e una Chiesa cosiddetta clandestina fedele a Roma, i cui fedeli e soprattutto il clero rischiano sempre di finire in prigione anche per decenni. Una situazione mai risolta che da qualche tempo si sta cercando di affrontare anche se come detto in modo per adesso informale. Il piano sarebbe quello di dar vita a una unica Chiesa, riconosciuta sia da Pechino che dal Vaticano.



IL PROBLEMA DEL CATTOLICESIMO IN CINA

Secondo AsiaNews e altre fonti cattoliche, il risultato sarebbe soltanto quello di avere una Chiesa di stato sottomessa al partito. Anche la Bibbia verrebbe riscritta, inserendo parti volute dal governo, insomma una reinterpretazione adattata all’ideologia comunista. La notizia del giorno, si legge, è che è già stato varato un piano quinquennale di sviluppo per sinicizzazione della Chiesa cattolica in Cina. Vi hanno preso parte i cattolici patriottici e il consiglio dei vescovi cinesi, anche questo non riconosciuto dal Vaticano. La cosiddetta sinicizzazione della Chiesa è un progetto portato avanti dall’attuale presidente Xi Jinping con diversi scopi, ad esempio eliminare le influenze straniere (Roma); fare a meno del mandato romano per la nomina dei vescovi; sottomissione al partito che ha il computo di guidare le religioni e controllare tutte le attività religiose. In realtà secondo altri esponenti del mondo cattolico, tale progetto vale soprattutto per gli islamici che come si sa in alcune regioni della Cina si sono dati ad azioni terroristiche anche perché la Chiesa romana continua a nominare vescovi non riconosciuti dal governo, e per i protestanti, che spesso sono organizzati in vere e proprie sette che disconoscono qualunque autorità centrale.

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