Questo mese si è tenuta a Qingdao, in Cina, la riunione del Consiglio dei capi di Stato della Shanghai Cooperation Organization, i cui membri sono Cina, Russia, Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan e, dal 2017, India e Pakistan. La Sco ha lo scopo di sviluppare i rapporti e la collaborazione degli Stati membri in un’ampia serie di ambiti: dall’economia alla finanza, dalla cultura all’ambiente, dalla lotta al terrorismo e al traffico di droga alla cooperazione nell’intelligence e nella difesa. Uno degli impegni presi è, infatti, collaborare nella soluzione di diversi conflitti in corso, come per l’Afghanistan, la Siria, il Medio Oriente e la Corea, e si sottolinea anche l’importanza di continuare nell’implementazione dell’accordo sul nucleare iraniano.
Tra i conflitti, tuttavia, non vengono citate esplicitamente le contese in corso tra alcuni degli stessi partecipanti alla Sco: Cina, India e Pakistan, tre potenze nucleari.
Le relazioni tra Cina e Pakistan sono piuttosto buone, sia nei rapporti economici che in quelli politici, soprattutto dopo il raffreddamento dell’alleanza tra Stati Uniti e Pakistan, accusato di non combattere i talebani afghani e gli altri terroristi presenti sul suo territorio. L’atteggiamento “permissivo” di Islamabad verso queste organizzazioni pone, peraltro, qualche problema anche a Pechino, a sua volta sotto attacco di organizzazioni islamiste nello Xinjiang, abitato dagli Uiguri musulmani e con rivendicazioni indipendentiste.
Diversi, invece, i rapporti con l’India, l’altro colosso della regione: 1,4 miliardi di cinesi contro 1,35 miliardi di indiani, ma con un Pil di circa 12 trilioni di dollari per la Cina e di circa 2,6 trilioni per l’India. I due Paesi, infatti, si fronteggiano da decenni per questioni di confine e l’anno scorso si arrivò quasi a uno scontro diretto per una controversia tra Cina e Bhutan, protetto da un’India direttamente interessata alla questione.
Quest’anno è venuto alla ribalta un altro potenziale, e forse ancor più pericoloso, terreno di scontro: il Tibet del Sud. Questa regione dell’Himalaya era stata occupata dalla Cina nel 1962 durante la guerra sino-indiana e poi lasciata agli indiani con il successivo cessate il fuoco. Sia Cina che India hanno fortemente militarizzato questa frontiera sull’Himalaya ma, secondo quanto riporta il “South China Morning Post”, recentemente i cinesi hanno trovato sul loro lato, a 4000 metri d’altezza, miniere di oro, argento e terre rare, valutate 60 miliardi di dollari. I cinesi si stanno preparando per lo sfruttamento di queste miniere, trasferendo popolazione cinese in sostituzione della locale tibetana, costruendo strade e progettando anche un aeroporto.
Qualche fonte cinese avanza un parallelo con quanto fatto nel Mar Cinese Meridionale, con la costruzione di isole artificiali, anch’esse fortemente militarizzate. Il punto è se l’India se ne starà ferma, anche perché da parte cinese non si nasconde l’obiettivo di toglierle il Tibet del Sud per riunirlo alla Cina.
D’altro canto, l’India è già coinvolta in un altro serio conflitto con il Pakistan per la questione del Kashmir. Nel 1947, subito dopo la dichiarazione di indipendenza, i due Stati si fronteggiarono in una guerra che portò alla divisione del Kashmir in tre aree: la maggiore, il Jammu e Kashmir, sotto il controllo indiano; un’altra sotto quello pakistano; una terza sotto controllo cinese. La linea di divisione tra India e Pakistan non è mai stata definitivamente riconosciuta, anche dopo la successiva guerra del 1965 e gli ulteriori scontri nel 1999. Da allora la situazione nella regione è rimasta molto critica, anche per le rivendicazioni separatiste dei musulmani, fortemente presenti nell’area sotto controllo indiano.
La situazione è precipitata nei giorni scorsi con la rottura della coalizione di governo da parte del Bharatiya Janata Party, il partito del premier indiano Narendra Modi. La costituzione di un nuovo governo sembra molto difficile, vista la distanza tra i partiti presenti nel Parlamento dello Stato, e si parla già di nuove elezioni. Nel frattempo, i poteri esecutivi passano al governatore, che dovrà fronteggiare – c’è da temere – una ripresa di manifestazioni di piazza e azioni di guerriglia, dopo la fine della tregua indetta per il Ramadan.
Come già accennato, le potenze che si fronteggiano nella regione hanno tutte e tre a disposizione un “discreto” arsenale nucleare, stimato in 280 testate per la Cina, 140-150 per il Pakistan e 130-140 per l’India; per inciso, le stime per la Corea del Nord variano da 30 a 60 testate. Una strana situazione per quella che fu la terra di Gandhi.