In teoria potrebbe accadere di tutto al vertice di Bruxelles, anche che abbia ragione Wolfgang Schäuble, l’ex ministro delle Finanze tedesco, il famoso re del rigore e dell’austerità, che oggi (ieri, ndr) compare in una lunga intervista al Corriere della Sera, con rivelazioni impensabili fino a qualche tempo fa. Intanto il prevertice non è stato, come era largamente previsto, confortante.



Torniamo a Schäuble. Si dichiara ottimista sul futuro dell’Europa “che avanza solo nelle crisi”. L’ex ministro delle Finanze aggiunge: “Quando la pressione è forte abbastanza, si muove di più”. E poi sembra aperto alle ragioni dell’Italia, alla necessità dell’Italia in Europa, perché un’Europa senza Italia non è concepibile. Qui ha forse scoperto solamente l’acqua calda. 



Ma a sua volta Schäuble diventa anche una scoperta da “Guinness dei primati” nell’informazione o nella disinformazione, giudichi il lettore. 

Dice che il pareggio di bilancio non lo ha mai interessato. Chissà se è giusta la traduzione, oppure l’ex ministro delle Finanze tedesco ha preso un colpo di sole o si è spiegato male.

Rivendica infatti: “La nostra è stata una politica keynesiana” (ci sono stati ululati nei bar milanesi alla lettura) e offre una spiegazione della teoria di Maynard Keynes, sulla necessità di stimolare la domanda, che deve aver terremotato la tomba del grande economista di Cambridge e anche del suo maestro Alfred Marshall, che voleva capire “perché esistono sacche di miseria nell’abbondanza”. Chi ha vissuto e seguito in questi ultimi anni, almeno gli ultimi sette, resta di stucco di fronte a tali acrobazie del pensiero economico e storico fatto da un protagonista della nuova Europa e da un giornale come quello di via Solferino.



Sapendo anche che il giorno prima, sabato, il Corriere ha fatto un appello (attraverso i suoi cantori economici preferiti: Giavazzi, Alesina, Zingales), di buon senso economico, quello trito e ritrito che viene sempre pesantemente irriso da premi Nobel come Paul Krugman e Joseph Stiglitz.

Quisquilie e pinzillacchere, direbbe il grande Totò, rispetto al problema di una Germania, la famosa locomotiva europea (anche se con un sistema bancario piuttosto problematico), che si trova spaccata in due, tra frau Angela Merkel e il duro bavarese, il ministro dell’ Interno Horst Seehofer (probabile seguace del mitico leader della Csu, Franz Josef Strauss) che ha dato praticamente i quindici giorni alla cancelliera: “Se il summit Ue non porterà a soluzioni efficaci, i migranti già registrati in un altro paese verranno respinti”. 

E’ l’annuncio di una possibile crisi del governo tedesco, che ha preceduto, come anticipato dalla Merkel, l’annuncio di una crisi grave del prevertice e del summit dell’Unione Europea, che in questo momento sembra una carovana di carri di buoi, lenta e dove ognuno va per conto suo. 

Non solo al prevertice di ieri sono andati solo in quattordici e non solo il francese Emmanuel Macron ha fatto il fenomeno dopo gli exploit di Ventimiglia, Bardonecchia e Calais, proprio sui migranti. Ma è ormai da giorni che c’è ormai un clima politico europeo da bar sport, alimentato da Matteo Salvini e dal nostro governo giallo-verde, dalle risposte di Macron, dalle durezze di Seehofer, dal fatto che Viktor Orban, leader ungherese xenofobo, leader del cosiddetto gruppo di Visegrad, sia assente a Bruxelles, ma essendo sempre un membro del partito europeo della Merkel, nei giorni scorsi ha reso onore a Helmut Kohl, in evidente polemica con Angela Merkel. 

Il grado delle divisioni arriva a questo punto. Un putiferio, che fa pensare solo a una gestione pasticciata del declino della stessa grande idea di Unione Europea.

E attenzione, il problema dei migranti è grandioso e drammatico e dovrebbe essere affrontato congiuntamente, non tra gruppi di paesi che si mettono d’accordo, oppure con accordi bilaterali o trilaterali. Il nostro premier, Giuseppe Conte, ha presentato una proposta definita “Strategia europea multilivello” e contiene sei premesse e dieci obiettivi. Dice Conte: “Miriamo a una puntuale regolazione dei flussi che sia realmente efficace e sostenibile e al totale superamento del regolamento di Dublino”. Uno dei punti principali? Risponde Conte: “Bisogna superare il criterio del paese di primo arrivo: chi sbarca in Italia, sbarca in Europa”.

Ma dopo Conte, mentre il prevertice si dilunga oltre l’ora prefissata, ciascuno fa una sua proposta, una diversa dall’altra, in un clima di tensione e di opinioni mai meditate e con la voglia di distinguersi più che di unirsi veramente. 

Insomma, sia il fenomeno Macron sia la Merkel non danno, a questo punto, importanza all’unità di quella che dovrebbe rappresentare una comunità con obiettivi comuni. Non si raggiunge un documento comune? Non ha importanza. Si può sempre ritornare a gruppi di Paesi che collaborano tra loro e ai famosi accordi bilaterali.

E il futuro della Ue e tutti i problemi connessi? E il famoso asse carolingio, che ha ridotto la Grecia a un Paese povero? Forse il problema dei migranti, che con un minimo di buona volontà comune si potrebbe risolvere, nasconde un problema più grande che ci riporta agli anni perduti, all’asse anti-russo perseguito dalla Merkel e dal presidente americano Obama, al fatto sempre più evidente che il “giocattolo” della sola moneta unica, dell’euro, senza una mutualità del debito, una vera consistenza federativa, un’autentica integrazione ai vari livelli sociali e politici non può reggere a lungo. Ritenere che Maastricht sia da interpretare e realizzare solo economicamente e finanziariamente, senza scelte politiche, è una corbelleria da “qualunquisti” o da “odontoiatri-economisti” come diceva Keynes. 

Paradosso dei paradossi, non si rompe solo l’Europa sui migranti, il loro sbarco e la loro destinazione finale. Ma si rompe e si frantuma letteralmente l’unità della Germania, tra visione anseatica, quella di Amburgo e Brema e quella della Baviera, nemmeno fossimo tornati alla “guerra dei trent’anni”.

Questa spaccatura, con alcuni paesi più vicini agli anseatici, ha una vago “profumo londinese”, perché economicamente è sempre stato così. Vedremo nei prossimi mesi se si tratta solo di sensazioni.

Intanto guardiamo perplessi il quadro complessivo. E’ in fondo quello che hanno fatto comprendere in questi giorni sul Sussidiario Giulio Sapelli e Massimo D’Antoni, che sembrano “profeti disarmati”, di fronte al “qualunquismo imperante” di questo paese e di questo continente. Senza scelte politiche non si va da nessuna parte.