E così la prevista partita amichevole tra Argentina e Israele, che si sarebbe dovuta svolgere sabato a Gerusalemme, non si giocherà. La manifestazione di una trentina di persone di nazionalità argentina e spagnola davanti al campo di Barcellona dove la Nazionale biancoceleste si stava allenando ha avuto il suo effetto sui giocatori. A cui ha fatto seguito la proposta dell’Associazione Palestina di Calcio di bruciare magliette di Messi per protesta. Di certo il caso si trasformerà in un incidente diplomatico e dovrà trovare una soluzione, già che, dopo aver proposto di trasferire la partita a Haifa, la Federazione israeliana, che ha oltretutto pagato un milione e mezzo di dollari per l’evento, lo sta riproponendo una volta terminato il mondiale anche avendo come teatro della partita l’Argentina.



Non è stata tanto l’esibizione da parte dei manifestanti di una maglietta della nazionale argentina insanguinata, né tantomeno le parole di un Diego Armando Maradona al quale dai suoi rifugi dorati risulta facile emettere giudizi “rivoluzionari”. L’ammutinamento è iniziato a serpeggiare tra i ranghi della Nazionale di calcio quando i manifestanti sono passati a minacciare i giocatori, gridandone i nomi. A quel punto, dapprima Messi, poi tutti gli altri, hanno capito l’antifona e un gruppo nutrito che si è vieppiù coeso con il trascorrere delle ore, ma anche dopo la dichiarazione di Jibril Rajoub, Presidente della Federazione calcio Palestina che ha dichiarato che se Messi e compagni avessero giocato sarebbero stati considerati nemici dei musulmani, ha preso la storica decisione.



Storica perché le relazioni tra i due Stati sono ottime e l’ha recentemente dimostrato una visita di vari giorni di un gruppo di giornalisti argentini in Israele, invitati per celebrare la ricorrenza del settantesimo anniversario della fondazione dello Stato. La delegazione delle associazioni israelitiche argentine (Daia) viene poi tenuta in grandissima considerazione dall’attuale Governo Macri, anche perché dopo anni di sostanziale silenzio le indagini sulla morte del magistrato Nisman, che ricordiamo era ebreo e stava indagando sulle connessioni tra lo Stato argentino e l’Iran per coprire gli autori dell’attentato alla mutuale ebraica Amia nel 1994, avvenuta nel gennaio di tre anni fa, si sono approfondite al punto di smontare la tesi sostenuta da una giustizia ampiamente manovrata dal kirchnerismo, che parlava di suicidio, per trasformarsi, prove alla mano, in omicidio con l’aggravante che a breve il Parlamento argentino deciderà di togliere l’immunità parlamentare all’ex Presidente Cristina Kirchner che, oltre alle molteplici accuse di corruzione, dovrà anche rispondere sul tentativo di depistare le indagini e, se, come pare, si otterranno delle prove al momento solo ventilate, anche di essere la mandante dell’azione.



L’analisi che si può trarre da questo caso è che il prossimo mondiale di calcio potrebbe essere influenzato da episodi del genere, anche per la sede nella quale si svolge. Questa amichevole, purtroppo, l’ha vinta il terrorismo.