Trump il negoziatore. Trump il commerciante. Non più il 2 per cento ma il 4 per cento: Donald Trump arriva in Europa e spiazza gli alleati della Nato chiedendo loro di stanziare il 4 per cento del Pil nazionale per le spese della Difesa. La notizia, riferita alla stampa dal presidente bulgaro, Rumen Radev a Bruxelles, è stata confermata dalla Casa Bianca.
Per ora dai Paesi Nato non sono arrivate risposte ufficiali: alla fine del vertice il segretario generale dell’alleanza, Jens Stoltenberg, ha fatto solo un riferimento vago alla richiesta: “Mi concentrerei sul 2 per cento, che è quello che abbiamo concordato”. Ma in realtà, come i venditori ambulanti al mercato, Trump porta a casa appunto la base della sua richiesta e cioè l’impegno di spesa del 2 per cento del Pil da parte dei paesi europei finora riottosi a contribuire al “burden sharing” dell’alleanza.
Nella giornata di ieri si sono alternate dichiarazioni sprezzanti sulla Germania, “ostaggio dei debiti coi russi per il gas”, ad aperture inaspettate verso il suo paese di origine. Anche Trump è un immigrato e per di più tedesco. Una trattativa insomma. Condotta da un uomo d’affari esperto ed accorto, come quei “cavalli di razza” democristiani che non esitavano a far volare le sedie nelle riunioni preparatorie per la definizione delle liste elettorali. Un Trump in grande spolvero. Ma che forse sottovaluta i rischi di un’operazione che porterà i paesi dell’Unione Europea ed i loro vicini a primeggiare nella spesa militare. Finora le opinioni pubbliche di paesi come Germania ed Italia sono state particolarmente restie ad avvallare investimenti nella ricerca collegata alla difesa. Ma sono le stesse opinioni pubbliche che negli ultimi anni hanno accettato grandi sacrifici al grido di “ce lo chiede l’Europa”. Sacrifici economici e sociali. Cosa succederà se qualcosa gli verrà chiesto al grido: “ce lo chiede l’America”?
E soprattutto cosa accadrà se realmente un governo prudente e segnato dalla storia come quello tedesco si convincerà dei benefici di investire il 2 per cento della seconda economia mondiale nel settore della difesa? Qualcuno ha riflettuto sul fatto che i divieti costituzionali in tema di riarmo da parte dei tedeschi potrebbero paradossalmente essere superati su spinta americana?
E cosa accadrà se a far fronte ai nuovi obblighi pretesi in sede Nato dovesse essere un governo di AfD, cioè un governo nazionalista tedesco?
E ancora: paesi come l’Italia possono pretendere che venga considerato “burden sharing” il fatto di essere la naturale portaerei del fronte sud e perciò obbligata a dotarsi di basi ed opere infrastrutturali vocate alla sicurezza dell’alleanza? Basti considerare quanto delle nostre forze armate è stato spostato in questi anni da est a sud, dal Friuli-Venezia Giulia alla Sicilia per capire quanto realmente ci è costato assecondare gli scenari strategici della Nato.
Ma quello che interessa in questo momento a Trump, il venditore di Winchester, è fissare il prezzo di un’appartenenza ineludibile. “L’intendenza seguirà”.
Inutile dire che pur considerando opportuni molti dei richiami del presidente statunitense, occorrerebbe per gestire al meglio questa circostanza una visione europea. Non pervenuta.
“La Germania continua a dettare le regole all’Europa: ma non aveva perso la guerra?” Questa la battuta messa in bocca a Trump alla fine della cena di ieri dai giornalisti anglosassoni.
Meglio forse che ne ricordino un’altra. “Quando si dice che si è d’accordo su qualcosa in linea di principio significa che non si ha la minima intenzione di metterla in pratica”.
Sono parole di Otto Von Bismarck. Che sapeva di guerra e di Europa. E che forse anche l’immigrato tedesco The Donald farebbe bene a ricordare, dopo che i leader europei in coro hanno promesso al “grande negoziatore” di mettere mano al portafoglio.