Che l’Italia da una ventina d’anni stia attraversando una crisi strutturale, economica e sociale che pare senza via d’uscita è un fatto che si riscontra se si visita il nostro Paese a distanza di tempo: è innegabile che la situazione sia ormai ampiamente visibile anche agli occhi del turista straniero, nonostante la bellezza dei paesaggi e dei monumenti facciano rimanere ancora senza fiato. Siamo una nazione unica al mondo, ma la mancanza di un Sistema paese degno di questo nome, unita a una sudditanza nei confronti di un’Ue non proprio paragonabile al Manifesto di Ventotene di Spinelli, ci ha trascinati in un vortice dal quale sarà difficile uscire, anche perché ormai tantissimi giovani preferiscono incontrare il loro futuro in altri Paesi dove esiste ancora quello che da noi pare sparire sempre più velocemente: la dignità di potersi costruire una vita di qualità.
Ma, a prescindere da quanto fin qui scritto, c’è un prodotto che all’estero, paradossalmente, tira più dell’enogastronomia e del turismo (ormai non c’è rimasto molto di più): la cittadinanza italiana. Pare incredibile, ma la nostra risulta essere la più richiesta al mondo, quasi che tutti vogliano esser parte del Bel Paese: si stima che al di fuori dei patri confini ci sia una popolazione di circa 60 milioni di persone che, stando alle leggi attuali, attraverso quello che si chiama “ius sanguinis” possa reclamare la propria italianità.
Il fenomeno ha diversi epicentri: in Europa, in America Latina e pure in Marocco, almeno così lo illustra un bollettino diplomatico diramato tempo fa. Che l’Italia sia un Paese vecchio è cosa ormai risaputa: se non fosse per l’immigrazione straniera saremmo costantemente a crescita zero. Non solo per un fattore generazionale (comune all’Europa intera a quanto pare), ma anche perché con la situazione di crisi che persiste e al contrario di altre nazioni europee (si pensi alla tanto “odiata” Francia) avere figli implica spesso problemi di mera sopravvivenza economica e non c’è uno Stato che, attraverso una legislazione specifica, permetta di sostenere quello che da noi è ormai considerato un lusso.
Così non c’è rimasta che l’immigrazione a salvarci, lo ripeto, ma anche la produzione su larga scala di “italiani” all’estero sfruttando quello che è un pauroso buco legislativo che sfiora la metafisica e che ha proprio nello “ius sanguinis”, il diritto di sangue, il suo cavallo di Troia. Difatti, mentre nella quasi totalità degli altri Paesi questo ha validità all’estero solo per acquisizione diretta dai genitori e spesso previo un naturale esame linguistico, l’Italia allarga spaventosamente le maglie facendolo arrivare per successione da un parente che dal 1861, anno di creazione del Regno d’Italia, abbia mantenuto la cittadinanza senza aver acquisito quella del Paese in cui era emigrato!
Va da sé che questa assurdità costituisca un detonatore incredibile per una quantità industriale di eredi di nostri emigranti fin dal secolo passato, gente che ormai di italiano non ha assolutamente più nulla. Specie in America latina, Brasile e Argentina in primis, non è raro imbattersi in pubblicità che invitano a prendersi la cittadinanza italiana. Un gruppo di diplomatici che sta tentando di allarmare le Istituzioni sulla questione ci spiega che in un arco di tempo alquanto ridotto circa un milione di persone potrebbero acquisire la cittadinanza da nostre Istituzioni all’estero già ampiamente e da tempo collassate proprio per queste ragioni. Da connazionali che lo sono come il Parmesan o il Cambozola, e che hanno innescato un fenomeno con conseguenze e danni inimmaginabili per l’Italia, fatto che vi sarà illustrato in un prossimo articolo.
(1- continua)