Continua, ad anni di distanza, il pugno di ferro del generale al-Sisi presidente dell’Egitto dopo il colpo di stato da lui guidato che cacciò i Fratelli Musulmani dopo la loro vittoria alle elezioni. Centinaia di appartenenti al movimento fondamentalista islamico si trovano ancora in carcere e processo dopo processo arrivano le sentenze. L’ultima, di ieri, è clamorosa, sono state condannate a morte 75 persone, il più alto numero di condannati a morte in un solo processo che si ricordi (a parte ovviamente le grandi purghe di regimi come quello stalinista o di Mao in Cina). Un numero che però va comparato a quello degli accusati, quasi mille, 739 imputati, la sentenza per loro arriverà l’8 settembre prossimo. Si tratta di aderenti Fratelli Musulmani arrestati nel 2013 durante una manifestazione di protesta a favore dell’allora deposto presidente egiziano, Morsi, appena cacciato da al-Sisi.



IL PROCESSO RECORD

Durante quel sit-in si registrarono violenze e vittime, il processo era in corso da due anni. Tra i condannati a morte molti leader del movimento islamista, mentre in attesa di giudizio anche casi molto discussi come quello del giornalista Mahomoud Aboud Zeid “Shawkan”, in prigione ormai da quasi cinque anni. Il trentenne si trovava a svolgere il suo lavoro di fotografo per una agenzia inglese durante quella manifestazione e per qualche ragione venne arrestato anche lui. Da allora il giovane vive in isolamento in una cella di pochi metri quadri nel carcere di Torah al Cairo, considerata una delle peggiori prigioni del mondo. La manifestazione si tenne il 14 agosto 2013, le forze di polizia uccisero quasi mille manifestanti. Adesso i condannati a morte hanno diritto di chiedere la grazia al Gran Mufti d’Egitto, la principale autorità sunnita del paese.

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