Negli ultimi mesi sembra essersi riaperto l’ennesimo capitolo della “guerra fredda” tra la Francia e l’Italia per la Libia. Tra crisi diplomatiche, colpi bassi e accuse più o meno velate, la “partita”, iniziata nel 2011 con l’intervento internazionale voluto dall’Eliseo per defenestrare il rais e cancellare il rapporto strategico tra Roma e Tripoli, potrebbe vedere la vittoria dell’Italia. Cerchiamo di capire perché e cosa potrebbe fare il nuovo governo.



Giova fare un passo indietro. Il 29 maggio scorso, in un momento estremamente delicato per la nostra politica interna, vista l’impasse nella formazione del governo, il presidente francese Emmanuel Macron decide di convocare l’ennesimo vertice sulla Libia. Dopo il fallimento del summit del luglio 2017 tra il leader a marchio Onu Fayez al-Serraj e il federmaresciallo della Cirenaica, Khalifa Haftar, questa volta, oltre ai due “vecchi ospiti”, allarga il parterre anche al presidente dell’alto consiglio di Stato, Khaled al-Mishri, e a quello del parlamento di Tobruk, Agila Saleh. Nonostante le fredde strette di mano tra gli esponenti libici e le proteste di molte importanti tribù locali, Macron annuncia il suo grande successo: elezioni a dicembre. Un’idea a dir poco balzana in un paese così frammentato e instabile. Per fortuna a mettere una pietra tombale sull’iniziativa francese è arrivato l’inviato delle Nazioni unite in Libia, Ghassan Salamè, che in una recente relazione al Consiglio di sicurezza ha dichiarato: “Non sarebbe saggio condurre le elezioni. Senza un chiaro e forte messaggio a coloro che tentano di bloccare il voto, le giuste condizioni nel paese non saranno soddisfatte”. Un monito ad evitare pericolose iniziative unilaterali e una débâcle per la road map libica di Macron.



Nel frattempo il nuovo governo italiano lavora alacremente per riaprire una partnership rafforzata con l’ex Jamairyia, capace di andare oltre il dossier migratorio. Negli ultimi due mesi le autorità italiane hanno fatto la spola con Tripoli: prima il ministro dell’Interno Salvini, poi quello degli Esteri Moavero Milanesi e, quindi, il ministro della Difesa Trenta. Sul tavolo c’è il disegno di legge che prevede la donazione di 12 motovedette alle autorità libiche, ma si è anche parlato di una possibile riattivazione del trattato di amicizia e cooperazione italo-libico, siglato, nella sua versione “originaria”, da Gheddafi e Berlusconi nel 2008. 



Al di là delle disquisizioni giuridiche sulla sua validità, vista la partecipazione italiana all’intervento contro il rais, va rimarcato che se da un punto di vista sostanziale il trattato è difficilmente applicabile nella sua interezza a causa dell’assenza di un chiaro potere centrale in Libia, potrebbe comunque essere aggiornato alla rinnovata realtà, magari “riabilitandone” alcune clausole. Sarebbe un passo importante per aprire a una maggiore collaborazione economica con Tripoli ma soprattutto per consolidare le relazioni bilaterali, bloccando, così, il tentativo francese di allargarsi anche nell’ovest del paese. 

Macron, infatti, non pago del fallimento del vertice parigino, sta giocando le sue ultime chances. In primo luogo la carta Putin. Lo scorso 25 luglio, infatti, ha incontrato il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov in un meeting a sorpresa all’Eliseo per discutere della situazione in Siria, ma con tutta probabilità la conversazione potrebbe essersi allargata anche alla Libia. Qui, infatti, la Francia e la Russia hanno una certa convergenza poiché entrambe sostengono Haftar — l’uomo forte dell’est libico — e i cugini d’oltralpe avrebbero tutto l’interesse a dare vita ad una “cabina di regia” congiunta per posizionarsi nel paese, allargandosi anche ad ovest. Inoltre, l’instancabile presidente francese, pochi giorni fa, ha inviato a Tripoli il ministro degli Esteri, Le Drian, per incontrare Serraj e alcuni leader di importanti milizie locali, con l’obiettivo di offrire supporto per la stabilizzazione del paese.

A questo punto verrebbe da pensare che la Francia sia in una posizione di vantaggio rispetto all’Italia; ma non è tutto oro quel che luccica. 

L’Italia, infatti, oltre che con Serraj, dialoga da tempo con i gruppi dell’ovest libico — la cui esistenza, fino a pochi giorni fa, era pressoché sconosciuta a Parigi — e potrebbe sfruttare questo suo capitale di fiducia per assurgere ad interlocutore indispensabile nei tavoli internazionali per mediare un accordo con gli sponsor delle fazioni dell’est, Russia in primis. Una proposta che, vista la solidità della posizione italiana a Tripoli, potrebbe rassicurare il Cremlino molto più di quella francese. Potrebbe essere questa l’azione capace di segnare il gol della vittoria.