Andiamoci piano a ironizzare sulla strana coppia tricologicamente scorretta, biondicapelli Donald Trump e gommina Giuseppe Conte. Andiamoci piano a cercare l’errore in questa strana vignetta del populismo internazionale che ci restituisce, da Washington, l’immagine di un’insperata e discutibile centralità politica che l’Italietta del superdebito potrebbe aver trovato al centro del Mediterraneo nelle sperticate esternazioni di stima del Presidente degli Stati Uniti – non di un editorialisticolo qualsiasi! – verso il Carneade Giuseppe Conte, il premier-chi? che siede attualmente a palazzo Chigi.
Andiamoci piano perché la storia procede, anche se a volte dimentica di indossare la “a” maiuscola. E se un’Italia come la nostra di oggi, colpevole di ogni nefandezza economica agli occhi dei partner dell’eurozona – cioè poi di due concorrenti internazionali spietati e che si giovano delle sue (nostre) difficoltà come sono la Germania e nei suoi modesti limiti la Francia – si conferma, tuttora o nuovamente, l’alleato di fiducia degli Stati Uniti, la cosa un certo peso ce l’ha. E per dirla con Pirandello, la storia, stavolta quella con la “A” maiuscola, non ha nessuno bisogno di essere verosimile per essere vera.
Dunque il presidente del consiglio d’Italia meno politico e meno identificabile che si potesse immaginare, questa figura che tuttora molti si ostinano a considerare una “comparsa” della politica, vaso di coccio (o di gomma) tra i due vasi di ferro del governo gialloverde, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, esce senza dubbio rafforzato e accreditato dall’incontro con Trump. Forse perché non ha avuto bisogno dei corsi accelerati allo Shenker per parlare un inglese fluente, che servirono, in parte a Matteo Renzi. Forse perché non può essere accusato di aver sottoscritto e condiviso fino a ieri le peggiori inconcludenze dei governi che hanno preceduto il suo: si occupava di tutt’altro. Forse perché fa piacere a Trump avere a fianco uno Stato convintamente europeista qual è l’Italia, con buona pace degli euroscettici leghisti e pentastellati, ma oggi orgogliosamente polemico contro un’Unione europea germanocentrica che tende a egemonizzare economicamente tutti gli altri Stati membri per piegarli a una visione ossessiva del controllo dell’inflazione che affonda le sue radici in traumi storici che sono tedeschi e per fortuna solo tedeschi.
Forse per tutte queste cose insieme o semplicemente perché si stanno simpatici: queste cose contano a ogni livello. Fatto sta che Giuseppe Conte porta a casa dei risultati talmente interessanti da soffocare quasi tutte le risate ironiche che i commentatori italiani e figuriamoci quelli europei si preparavano a far esplodere. La cabina di regia Italia-Usa per la Libia e il Mediterraneo è una cosa che, con la Sesta Flotta che domina il mare italiano (“Mare Nostrum”) per definizione, promette di non essere una pura ma vuota espressione politica: “Il Mar Mediterraneo è importante più di ogni altro mare per gli avvenimenti politici e commerciali del mondo e la Sesta Flotta è impegnata a mantenerne la sicurezza per i cittadini e per il commercio degli Usa e degli alleati”, ha ammonito qualche mese fa l’ammiraglio James Foggo, comandante delle Forze Alleate Nato di Napoli e delle forze Usa per l’Europa e l’Africa, insediando come proprio vice una donna, Lisa Franchetti, americana di origini italiane.
Obiettivi dichiarati della neonata asse italo-americana, la lotta preventiva al terrorismo e al traffico di esseri umani, che è poi il business all’origine di quella poderosa macchina organizzativa che la malavita internazionale ha costruito attorno ad istanze migratorie autentiche e in sé sacrosante ma destinate, senza il malaffare, a rimanere inevitabilmente in gran parte prive di effetti.
Per Macron – che notoriamente con Trump “non si piglia” – questa corsia preferenziale Conte-Trump rappresenta una vera iattura e un pesantissimo deterrente contro le inossidabili preteste post-colonialiste francesi sul Nord Africa, che tante responsabilità hanno avuto nel destabilizzare il vecchio, criminale regime di Gheddafi aprendo la strada ai tanti, ancor più criminali, regimi tribali che sostanzialmente si contendono oggi il potere in Libia.
Non è che – intendiamoci – Trump regali nulla a nessuno. Ha chiarito ad esempio che lui il metanodotto Tap lo approva e lo vuole subito e senza intoppi: comprare il gas dall’Azerbaijan rafforza un amico degli Usa, comprarlo dalla Russia rafforza un nemico, o presunto tale. Ma contrariamente alle fake-news che la propaganda incredibilmente ospitata anche dai media più seri propala, nemmeno Michele Emiliano ha mai detto che la Tap “non va fatta”, ha semplicemente sostenuto, con ottime ragioni peraltro, che avrebbe dovuto e potuto esser fatta approdare più a Sud, e sempre in Puglia.
Facilissime, inutile dirlo, le argomentazioni critiche e riduttive che accompagnano oggi questi eventi. Chi detesta Trump e bolla d’infamia l’uomo e il suo governo sottolineerà come infame e pericoloso il suo apprezzamento per la linea del governo italiano sull’immigrazione: “Io e Conte siamo entrambi d’accordo sulla necessità di proteggere le nostre nazioni da terrorismo e immigrazione senza controllo”, ha detto. Tanto da annunciare già per settembre un possibile “shut down” con il Messico, insomma una chiusura dei confini, se non sarà trovata una soluzione politica… Ma questo Trump da capelli cotonati e dalle cento amanti a pagamento nel cassetto, questo Trump sguaiato e francamente ridicolo in tante sue pose, è anche il presidente Usa del Pil al +4,1%, la maggior crescita dal 2004, della pienissima occupazione, di Wall Street ai massimi e di tanti “reshoring” (ritorni in patria) di aziende americane che avevano investito oltre confine, e insomma di molto promesse mantenute al suo vero elettorato, quella “Corporate America” che non legge il New York Times e che non guarda la Cnn, ma s’informa sulla Fox o semplicemente non s’informa con i media tradizionali.
“Siamo due governi del cambiamento”, ha timidamente chiosato Conte. E c’è del vero. C’è un’analogia forte, e anche un collante, tra i governi Trump e Conte: non tanto sulle cose che stanno facendo, ancor meno sulle cose buone, tutte discutibili e opinabili. Il collante consiste nella nullità spesso nociva di quel che era stato fatto prima di loro.