La scure del governo di Erdogan potrebbe essersi di nuovo abbattuta sulla libertà d’espressione in Turchia, sempre in nome della sicurezza Nazionale. Oltre ai 18mila dipendenti licenziati, ci sono state anche le chiusure di ben 12 associazioni evidentemente non gradite al Capo dello Stato, così come anche 3 giornali e un canale televisivo sono stati costretti a chiudere i battenti. Quindici giorni dopo le elezioni che hanno dato poteri ancora più ampi ad Erdogan, la stretta sembra simile, per quanto meno estrema, a quella che aveva portato all’arresto di molti esponenti della vita pubblica, compresi impiegati ed insegnanti, dopo il tentato golpe in Turchia. Questa nuova ondata di licenziamenti e chiusure dovrebbe rappresentare l’ultimo atto del decreto emesso con la procedura dello stato di emergenza dopo le elezioni, destinato, secondo fonti governative turche, a non essere rinnovato dopo la scadenza stabilita, tra 10 giorni. (agg. di Fabio Belli)



“PER LA SICUREZZA NAZIONALE”

A distanza di due settimane dalle elezioni, il governo turco ha annunciato il licenziamento di oltre 18mila dipendenti pubblici. Dalla decisione non sono rimasti fuori funzionari di polizia, militari, insegnanti e professori universitari. Una scelta che, secondo quanto riportato da Repubblica.it, sarebbe stata adottata in quanto gli stessi dipendenti licenziati sarebbero stati definiti una “minaccia alla sicurezza dello Stato”. La notizia arriva in anticipo rispetto all’annuncio della fine dello stato di emergenza in vigore dopo il fallito golpe di due anni fa, in concomitanza con il giuramento di Erdogan per il suo nuovo mandato da presidente. La decisione prevede non solo il maxi licenziamento ma anche la chiusura di 12 associazioni, tre giornali ed un canale televisivo. Lo stato di emergenza dovrebbe terminare salvo sorprese dell’ultimo minuto tra 10 giorni e quello emesso dovrebbe essere l’ultimo decreto emesso nell’ambito della procedura in atto durante la quale sono state oltre 160 mila, in tutto, le persone che hanno perso il proprio posto di lavoro in Turchia poiché ritenute vicine alla rete di Fetullah Gulen, ovvero il presunto responsabile del fallito golpe dell’estate 2016. (Aggiornamento di Emanuela Longo)



LA DECISIONE DEL GOVERNO TURCO

Turchia, governo licenzia 18 mila dipendenti: la notizia arriva dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del Paese del decreto di emergenza. Come sottolineato dai colleghi dell’Ansa, l’esecutivo turco ha deciso di licenziare oltre 18 mila dipendenti pubblici: l’accusa? Sospetti legami con gruppi terroristici, gruppi “che agiscono contro la sicurezza nazionale”. Analizzando i dati a disposizione, il provvedimento ha colpito 8.998 agenti di polizia, 3.077 soldati dell’esercito, 1.949 membri dell’aeronautica e 1.126 membri della marina. E ancora: licenziati 1.052 dipendenti civili del ministero della Giustizia, 649 dipendenti della gendarmeria, 192 dipendenti della Guardia Costiera e, infine, 199 accademici. Purghe ma non solo: 148 impiegati statali dell’esercito e ministeriali sono stati reintegrati. Non è la prima volta che la Turchia adotta questo sistema, questa volta chiamati in causa presunti coinvolgimenti con gruppi terroristici.



TURCHIA, GOVERNO LICENZIA 18 MILA DIPENDENTI

Come abbiamo detto, non è la prima volta che la Turchia adotta purghe. Lo scorso dicembre 2017, il governo turco decise di licenziare oltre 2.700 dipendenti pubblici: 637 militari, 360 membri della gendarmeria, 150 tra accademici e personale universitario. Coinvolti anche insegnati, imam e membri del ministero della Giustizia. La vicenda non riguardo però presunti legami con gruppi terroristici, bensì il coinvolgimento nel tentato colpo di Stato del luglio 2016. Ankara puntò il dito contro Fethullah Gulen, predicatore islamico esiliato dal 1999 negli Stati Uniti d’America e mente, secondo gli inquirenti, della tentata giubilazione di Erdogan. I dati fanno riflettere: fino a pochi mesi fa, le statistiche raccontavano di circa 50 mila persone arrestate e oltre 110 mila dipendenti pubblici licenziati. Il tutto nonostante la smentita di Gulen di un suo coinvolgimento del tentato golpe.