Gli ultimi sviluppi della situazione in Medio Oriente portano a pensare che la pluridecennale “questione palestinese” si stia avviando a una dissoluzione, piuttosto che a una soluzione. Nella società israeliana sembra essersi consolidata una concezione “ebraica” dello Stato, in senso confessionale, che ha trovato una significativa espressione nella recente approvazione della discussa Legge sulla nazionalità. Una vittoria per il sempre più aggressivo governo Netanyahu, malgrado le sue difficoltà per le accuse di corruzione che coinvolgono il premier e sua moglie. All’esterno quest’aggressività si è pienamente manifestata negli interventi armati in Siria contro gli iraniani, rafforzando così da un lato l’alleanza con l’amministrazione Trump e, dall’altro, instaurando un’alleanza di fatto con gli Stati arabi nemici dell’Iran, a partire dall’Arabia Saudita.



La questione palestinese è così diventata sempre meno centrale e la responsabilità è anche della dirigenza palestinese, che per decenni ha fatto dipendere la sua soluzione dall’annientamento dello Stato d’Israele, posizione ancora mantenuta da una parte di Hamas. Accanto a questa irrealizzabile pretesa, le forti divisioni tra i palestinesi hanno contribuito ad allontanare ogni ragionevole soluzione. Penso che molti si ricordino che, dopo il ritiro unilaterale degli israeliani nel 2005, Hamas ha cacciato con la forza al Fatah dalla Striscia e che nel marzo di quest’anno vi è stato un attentato al premier palestinese, appartenente ad al Fatah, durante la sua visita a Gaza.



Risulta quindi molto difficile ipotizzare uno Stato palestinese in cui possano convivere l’Autorità palestinese che governa i Territori e Hamas che governa Gaza, tanto più che entrambe le entità sono molto divise anche al loro interno. La sensazione è che di questo sia convinta anche l’attuale dirigenza israeliana, che sembrerebbe avere due diverse posizioni rispetto ai Territori e a Gaza. Nei confronti di quest’ultima viene attuata una strategia decisamente dura, solo in parte giustificata dalle violenze di Hamas, che ha suscitato forti critiche anche su queste colonne. La Striscia è bloccata da ormai dieci anni da Israele con l’appoggio dell’Egitto e la situazione economica è ora molto grave. Al blocco partecipa anche l’Autorità palestinese di Abbas, che ha ridotto le forniture di energia elettrica e gli stipendi ai dipendenti governativi, nel tentativo di riportare Gaza sotto il controllo dell’Autorità. Ciò ha scatenato altre violente diatribe tra Hamas a Fatah che, concordi nell’accusare Israele, si sono però reciprocamente accusati di essere concausa della situazione nella Striscia.



Accanto alla perdita del controllo della Striscia di Gaza, per l’Autorità palestinese il maggior problema è la persistente politica di espansione degli insediamenti israeliani, che rendono sempre più difficile una contiguità di territorio del futuro Stato palestinese nella West Bank. A questo si aggiunge la questione di Gerusalemme: dopo il trasferimento dell’ambasciata americana ha ripreso vigore il piano israeliano della Grande Gerusalemme, a scapito dei palestinesi ivi residenti e la condanna definitiva dell’ipotesi di Gerusalemme Est come capitale dello Stato palestinese. 

Comincia perciò a riemergere l’ipotesi della costituzione di uno Stato palestinese nella West Bank con una successiva confederazione con la Giordania, formula in cui i due Stati rimarrebbero collegati ma indipendenti. Questa soluzione sarebbe molto più vantaggiosa per i palestinesi rispetto all’attuale limitata autonomia e renderebbe il futuro Stato palestinese più forte. Inoltre, la metà della popolazione giordana è di origine palestinese: questo è semmai un possibile problema per i giordani “autoctoni”, che vedrebbero minacciata la loro identità. Da un punto di vista internazionale, la West Bank era già occupata fino al 1967 dai giordani e la Giordania è l’unico Stato arabo, insieme all’Egitto, ad aver firmato la pace con Israele. Anche per Israele sarebbe un’opzione preferibile, rispetto per esempio all’altra alternativa prospettata di una federazione dei Territori con Israele, portata avanti da una parte della destra israeliana.

Pur con tutte le difficoltà che presenta, la confederazione con la Giordania sembra l’ipotesi più fattibile, soprattutto se Israele dimostrasse una maggiore apertura per una parziale internazionalizzazione dei Luoghi Santi. Tenendo comunque presente che Gerusalemme ha religiosamente un significato “più unico” per gli ebrei che per i musulmani, che hanno la Mecca come principale Luogo Santo. Diventa comunque essenziale l’impegno delle organizzazioni internazionali, a partire dall’Onu, anche per elaborare un piano per lo sviluppo economico del nuovo Stato e per una soluzione definitiva del problema dei profughi.

E Gaza? Potrebbe diventare a sua volta uno Stato indipendente, con un accordo che affianchi ad Israele l’Egitto, che ha occupato la Striscia dal 1948 al 1967, e, anche qui e ancora più necessario, un piano economico per il suo sviluppo, importante anche per contenere le spinte delle fazioni più estremiste. E’ da notare che al largo delle coste di Gaza è stato trovato un interessante giacimento di gas e petrolio adiacente a quello israeliano denominato Leviathan. Il petrolio è spesso accusato di provocare guerre, ma lo sfruttamento dei suoi giacimenti abbisogna della pace. Così come il dissolversi di una questione potrebbe portare invece a una sua ragionevole soluzione.