Un’analisi anche non approfondita degli accordi internazionali cui partecipano Cina e Russia, in particolare relativi al libero commercio, pone in evidenza la posizione di attacco di questi due Paesi, cui si contrappone la strategia difensiva e di contrattacco degli Stati Uniti di Donald Trump. Data la loro natura, questi trattati non riguardano solo gli aspetti commerciali ed economici: le aree di influenza, o di dipendenza, che finiscono per creare si trasformano inevitabilmente in zone di influenza politica. Un’analisi più approfondita, tuttavia, mette in luce una concreta differenza nelle strategie di Cina e Russia. Pechino sta utilizzando tutti i suoi, ormai notevoli, mezzi a disposizione, economici, politici, demografici, anche militari, con il chiaro obiettivo di diventare la maggior potenza globale e, di conseguenza, rappresenta la maggior minaccia per gli Stati Uniti. Rispetto ai suoi predecessori, Trump usa toni più forti nei confronti dell’espansionismo cinese non solo per questioni “caratteriali”, ma perché la Cina gioca ormai a carte del tutto scoperte.



La strategia della Russia di Putin è, per così dire, più “coperta”, almeno sul piano internazionale: all’interno è sempre più chiaro e pesante il richiamo dell’attuale regime autoritario al ruolo storico della Russia, anzi della Santa Madre Russia e della “Terza Roma”. All’esterno, la strategia russa sembra improntata a modalità che definirei da “terzo incomodo”, di rimessa o di reazione.



La prima modalità sembra definire la strategia russa rispetto alla contrapposizione Usa-Cina. Nel precedente articolo si sono citate le molte occasioni di cooperazione tra Mosca e Pechino che rendono la prima un partner fondamentale per la seconda, a partire dal progetto della nuova “Via della seta”. Così come importanti sono le iniziative comuni in campo finanziario, che non sono certamente in grado di rimpiazzare il ruolo globale del dollaro, almeno sul breve termine, ma che contribuiscono comunque a indebolirlo. In questo modo la Russia rende più forte la posizione della Cina e attenua le conseguenze delle iniziative degli Stati Uniti, senza peraltro diventare un alleato a tutto campo di Pechino: un terzo incomodo per gli Usa che Washington stesso ha creato con la sua ostilità, ben precedente alle iniziative, peraltro non consequenziali, di Trump.



La strategia di “rimessa” caratterizza la posizione russa in Medio Oriente e Nord Africa, tesa a trarre vantaggio dagli errori commessi e dai vuoti lasciati dagli Stati Uniti e loro alleati. La tragica situazione in Siria è stata causata dall’intervento americano, che ha permesso la nascita dell’Isis e la rivitalizzazione di al Qaeda. Putin è intervenuto quando è diventato chiaro che gli Stati Uniti avevano sottostimato le capacità di resistenza del regime di Assad e non riuscivano a venir fuori dal pantano da essi stessi creato. Ora il regime di Assad è consolidato, Washington continua a sostenere milizie spesso in contrasto tra loro e non riesce a trovare una strategia di uscita, i pochi colloqui per una possibile, purtroppo ancora lontana, pace sono condotti da Mosca.

Senza dubbio, i costi dell’intervento in Siria per i russi sono notevoli, ma notevoli sono anche i guadagni in termini geopolitici. Ogni soluzione per la Siria non potrà che avere come interlocutore Mosca, il cui ruolo sta crescendo anche in Egitto e in Libia, anche qui grazie agli errori compiuti dagli americani, cominciando con il sostegno di Obama ai Fratelli musulmani per finire con l’attacco a Gheddafi. In occasione della firma del trattato sul nucleare con l’Iran, Obama dovette apertamente riconoscere il ruolo della Russia, essenziale per il raggiungimento dell’accordo. Ora che Trump lo ha rinnegato e ha dichiarato Teheran il nemico pubblico numero uno (essendo nel frattempo Kim Jong-un diventato “buono”), Netanyahu è stato costretto a ricorrere ai buoni uffici di Putin per allontanare la minacciosa presenza iraniana sulle Alture del Golan: vale a dire, i confini dell’alleato di ferro degli Usa, Israele, sono difesi dal “vilain” di Mosca!

Di aperta reazione si può invece parlare nel caso dell’Ucraina, dove Putin ha reagito in modo pesante all’intervento occidentale in un’area che considera, come peraltro molti russi, una specie di “cortile di casa”. Una reazione che gli Stati Uniti avrebbero dovuto mettere in bilancio, ricordando come si sono comportati nei confronti di quello che consideravano il loro cortile di casa, l’America Latina. Forse l’Ucraina è la maggiore sconfitta del protagonismo americano, perché non si tratta di un Paese esotico con dinamiche difficilmente comprensibili per gli occidentali. L’Ucraina è nel cuore dell’Europa, nazione di cerniera tra Occidente e Oriente europei, e poteva essere evitata la dolorosa sorte che le è stata assegnata, di cui è disonesto attribuire la responsabilità alla sola Russia. La quale non è stata di certo messa a terra dalle sanzioni di Washington e alleati, come già descritto precedentemente, così come sono inutili le reprimende per l’annessione della Crimea. La Russia, non solo Putin, non restituirà mai la Crimea, a meno di scatenare una catastrofica guerra che neppure la maggioranza degli ucraini credo voglia combattere per una terra che non è mai stata loro storicamente.

E, dulcis in fundo, anche l’Unione Europea, che finora è stata a guardare come le stelle di Cronin, è ora entrata nell’occhio del ciclone dell’inarrestabile Trump.