Non è decisamente un buon momento per l’Arabia Saudita, malgrado l’aumento del prezzo del petrolio e l’amicizia senza riserve di Donald Trump. La guerra in Yemen continua senza grandi successi per i sauditi e la coalizione internazionale che li appoggia, ma con una progressiva accelerazione della catastrofe umanitaria che sta distruggendo un Paese che era già il più povero del mondo arabo. I bombardamenti indiscriminati della coalizione continuano a causare molti morti tra i civili: l’ultimo massacro è avvenuto qualche giorno fa e ha causato una cinquantina di morti e un’ottantina di feriti, per la maggior parte bambini. Il portavoce della coalizione ha dichiarato che l’azione non era diretta certamente a uccidere bambini, ma che era comunque legittima, come risposta al missile lanciato dai ribelli Houthi. Il missile aveva ucciso un civile e ferito una decina di persone in territorio saudita.



Le reazioni di condanna sono state questa volta piuttosto nette e l’Onu sta spingendo per un’inchiesta indipendente sulla tragedia e anche gli Stati Uniti hanno chiesto ai sauditi di avviare un’indagine sulla dinamica dell’attacco. Secondo quanto riporta la Cnn, il segretario alla Difesa James Mattis ha inviato un generale di grado elevato in Arabia Saudita per indagare su quanto accaduto.



Come sempre accade con i regimi autoritari, le difficoltà esterne si traducono in repressioni interne e le più recenti si sono accanite, in Arabia Saudita, soprattutto sulle attiviste che operano in favore dei diritti delle donne. Il che potrebbe sembrare strano dopo le aperture del “riformista” principe ereditario Mohamed bin Salman, uomo forte del regime: grazie a lui, infatti, ora in Arabia Saudita le donne possono guidare le automobili! Chi si è invece dimostrato insensibile a questo vantato progresso è stata Chrystia Freeland, ministro degli Esteri canadese, che ha richiesto in un tweet il rilascio delle donne arrestate. La reazione saudita è stata immediata, con il richiamo del proprio ambasciatore in Canada e l’espulsione dell’ambasciatore canadese. Inoltre, Riyadh ha congelato i rapporti commerciali con Ottawa e invitato le migliaia di studenti arabi che studiano in Canada ad abbandonare il Paese. Justin Trudeau, primo ministro canadese, ha però ribadito la posizione assunta dal suo ministro degli Esteri.



Il governo saudita ha anche bloccato da questa settimana tutti i voli per il Canada e, a questo proposito, si è verificato un fatto che potrebbe rivelarsi piuttosto pericoloso. Secondo quanto pubblicato da Al Bawaba, sito di blogging giordano, su un account Twitter saudita è apparso un tweet che rappresenta un aereo della Air Canada che si dirige contro la CN Tower di Toronto. Chiaro e preoccupante il richiamo all’attentato delle Torri Gemelle, i cui attentatori erano in gran parte cittadini sauditi. L’immagine era accompagnata da una scritta in inglese, francese e arabo, che citava un proverbio arabo: “Chi interferisce con ciò che non gli compete, troverà ciò che non gli piacerà”. Il tweet è stato poi cancellato.

Gli Stati Uniti hanno ufficialmente dichiarato che la questione riguarda esclusivamente Canada e Arabia Saudita, provocando critiche canadesi per il mancato supporto, ulteriore prova del raffreddamento dei rapporti con Washington. Negli Usa, gli avversari di Trump hanno preso la dichiarazione come l’ennesima conferma del suo completo disinteresse per i diritti umani. Tuttavia anche i governi europei, a cominciare da quello inglese, hanno assunto una posizione neutrale, suscitando ulteriore delusione in Canada. Ma, come riporta The Guardian, il Canada non può lamentarsi più di tanto, almeno secondo Thomas Juneau, professore alla Università di Ottawa, che ricorda il silenzio del governo canadese nei casi precedenti in cui furono coinvolti Svezia e Germania.

Nel 2015 il ministro degli Esteri svedese, Margot Wallström, si espresse criticamente sul mancato rispetto dei diritti umani in Arabia Saudita, che ritirò il suo ambasciatore a Stoccolma. In risposta, gli svedesi ruppero il contratto di fornitura di armi ai sauditi. L’anno scorso è stata la volta di Sigmar Gabriel, ministro degli Esteri tedesco, che in una sua frase condannava l’avventurismo che affligge il Medio Oriente. Riyadh interpretò l’uscita di Gabriel come un preciso riferimento all’Arabia Saudita e al suo intervento in Yemen e ritirò il suo ambasciatore a Berlino.

In tutti e tre i casi, i governi sotto accusa saudita hanno messo in discussione la fornitura di armi a Riyadh e, forse, proprio i contratti sulle armi sono alla base del silenzio di Usa e UK, contratti senza dubbio più consistenti di quelli dei tre Paesi citati. Il messaggio sembra chiaro:” Compra le nostre armi e diverremo amici!” Un messaggio anche per Putin e Xi Jinping?