Non mancano le contraddizioni e la poca chiarezza sul caso della Asso 28, la nave italiana di supporto a una piattaforma petrolifera che ha, per la prima volta, salvato dei migranti nel mare e li ha restituiti alla Libia da dove erano partiti. Oltre a essere la prima nave italiana a fare ciò, cosa che contrasta con le politiche del Governo Conte che vieta a qualunque imbarcazione che non sia appartenente alla Guardia costiera nazionale di intervenire, c’è anche il divieto dell’Onu e dell’Unione europea di usare i porti libici in quanto considerati non sicuri. Ci sarebbe dunque una violazione della legge internazionale, ma in realtà a Tripoli e altrove esistono basi di accoglienza dell’Onu tenute aperte proprio grazie all’impegno italiano, e sono gli unici posti dove non c’è la segregazione e la violenza che normalmente accade nei cosiddetti hot spot. Abbiamo chiesto a Giulietto Chiesa, già corrispondente dall’Urss e poi dalla Russia, esperto di politica internazionale, cosa ne pensa di quanto accaduto.
Si è dibattuto molto se l’Asso 28 abbia agito su ordine della Guardia costiera italiano o libica, lei che idea si è fatto?
Da quello che ho potuto vedere dalle fonti disponibili, giornali e televisioni, sembra di capire che la Asso 28 abbia agito sulla base del rapporto che esiste tra l’Italia e la Libia, quindi secondo le regole internazionali. Accordi che sono stati presi dal governo precedente a questo e portati avanti, una scelta politica che deriva dal desiderio di contenere il più possibile il flusso dei migranti.
Però l’Asso 28 è comunque una nave italiana, e mai nessuna nave italiana aveva fatto in precedenza una cosa del genere. Possibile che la nostra Guardia costiera non fosse al corrente?
Sinceramente io penso che siamo di fronte a una gigantesca tratta degli schiavi moderna, organizzata e sistematicamente attuata per ragioni economiche e politiche. Quindi bisogna dire che questi giovani, hanno quasi tutti meno di 30 anni di età, non è gente che chiede asilo politico, ma emigra per cercare fortuna altrove.
Questo le sembra inaccettabile?
È ragionevolissimo desiderare una cosa del genere, il problema è che sono male informati. Pagano un sacco di soldi e poi scoprono che non possono partire dalla Libia o rischiano di affogare se partono. Non è questa la soluzione del loro problemi e desideri.
Riportare indietro queste persone significa però metterle di nuovo in mano di trafficanti che li trattano nella maniera che sappiamo, è d’accordo?
Le faccio io una domanda: lei sa che14 paesi dell’Africa subsahariana che erano colonie francesi sono costrette a pagare ancora oggi l’85% delle loro risorse finanziarie a Parigi? Allora la domanda diventa: chi è che li tratta male? Al punto di arrivo o al punto di partenza? Se vogliamo parlare in termini di astratta umanità parliamo allora di centinaia di migliaia di persone che fuggono dal loro Paese senza sapere dove vanno: è un atto umanitario questo?
Per lei quale è l’atto umanitario da intraprendere?
L’atto umanitario è impedire che affoghino. Bisogna fare il conto di quanti sono affogati con la politica del governo attualmente in carica e con quelli precedenti. Il problema è da dove partono e perché partono, non che bisogna accoglierli comunque. Dietro a questa storia c’è una catena criminale che non è possibile non vedere. Mi sono informato personalmente sui gommoni che vengono usati. Sono costruiti in Cina appositamente, lunghi 70 metri per ospitare 200 persone: chi usa dei gommoni da 200 persone, un mezzo da diporto? È ovvio che vengono pensati, costruiti e venduti per il traffico di esseri umani nel Mediterraneo e non per altri usi.
C’è una contraddizione di cui parlano in pochi: la Asso 28 non avrebbe dovuto far rotta verso la Libia perché dall’Onu e dall’Ue i porti libici sono considerati non sicuri e quindi vietati. Però l’Onu ha diverse basi sostenute dal nostro Paese in Libia. Non crede che alla base di tutto c’è una grossa confusione internazionale?
Certamente, la prima cosa che l’Onu dovrebbe fare è rivolgersi all’Europa che fino a oggi non ha fatto nulla di quello che ha detto che voleva fare. Pensare che l’Italia da sola possa affrontare questa situazione non è possibile. Se io fossi il ministro degli Interni saprei che ho a che fare con un Paese distrutto e diviso che non potrà mai gestire umanamente l’afflusso di decine di migliaia di persone.
E poi che farebbe?
Investire perché l’assistenza sul territorio sia garantita civilmente. Non si può risolvere il problema della Libia dopo averla bombardata. Abbiamo distrutto i loro porti con le nostre bombe. Ridurre il problema di come consentire a questi ragazzi di arrivare sulle nostre coste è un suicidio politico e non è un atto umanitario.