Sulla nave Diciotti Salvini non si ferma. Dopo che lo scontro con Fico lo ha costretto a sbarcare i minori, il ministro dell’Interno non ha consentito a far scendere gli adulti. “Non sbarca più nessuno in Italia a meno che l’Europa non si svegli — ha detto ieri Salvini — faccia la sua parte e cominci ad accogliere, come abbiamo fatto noi in questi anni”. “Se domani (oggi, ndr) non esce nulla sulla Diciotti e sulla redistribuzione dei migranti io e il M5s non saremo più disposti a dare 20 miliardi di euro alla Ue ogni anno” ha detto Di Maio.
Enzo Moavero Milanesi, ministro degli Esteri, ha il compito di ricondurre nell’alveo della diplomazia le scelte dei due vicepremier. Nemmeno il capo della Farnesina però risparmia critiche severe all’indifferenza delle burocrazie europee rispetto a quanto avviene al confine sud dell’Unione. Oggi Moavero parlerà al Meeting di Rimini su Italia, Europa e Sviluppo.
Ministro, a che punto è la gestione unitaria europea di flussi migratori?
E’ ancora estremamente carente. Il Consiglio Europeo dello scorso giugno, per la prima volta, ha tracciato lo schema base di una politica Ue delle migrazioni, riferendosi, a più riprese, alla necessità di un approccio condiviso fra gli Stati membri dell’Unione. Tuttavia moltissimo resta da fare sul piano concreto. In particolare, devono essere adottate idonee normative che consentano di procedere, in maniera ordinata, stabile e sistematica.
Il Trattato Ue permette di farlo?
Sì, ma sinora le uniche disposizioni operative in vigore riguardano le verifiche necessarie per riconoscere il diritto di asilo, sono le cosiddette “regole di Dublino”. Come sappiamo, solo una percentuale nettamente minore dei migranti che, di solito, arrivano in Europa hanno effettivamente diritto all’asilo (i dati relativi a chi arriva in Italia, ci dicono che sono meno del 10 per cento), dunque la vera sfida riguarda la corretta gestione di tutto il resto dei flussi migratori.
Ma cosa intende fare il governo Conte?
Noi sosteniamo che i migranti cercano l’Europa e arrivano in Europa; non in questo o quel Paese Ue a seconda del tragitto seguito. Pensiamo che ci sia una responsabilità europea condivisa al riguardo e così leggiamo quanto scritto nelle conclusioni formali del vertice di giugno. Sono convinto che per gestire i flussi migratori occorra spostare l’attenzione dalla foce (gli sbarchi) alla sorgente, vale a dire ai Paesi d’origine. Qui l’Unione deve investire, e tanto, per portare pace e democrazia, nonché per migliorare le condizioni socio-economiche ed eliminare le cause che inducono a lasciare la propria terra natale.
E nei paesi di transito?
Nei paesi di transito è indispensabile un’azione Ue, a fianco delle agenzie Onu, per assistere i migranti lungo i drammatici esodi verso il nostro continente e ove possibile, aiutarli a rientrare.
I migranti che arrivano da noi invece?
Credo che sia giusto che l’Unione e i suoi Stati membri, nell’ottica di uno sforzo congiunto, li prendano in carico per verificare, speditamente, chi ha diritto all’asilo e chi può ricevere un’offerta di lavoro. Idealmente e ove possibile, queste verifiche vanno fatte già nei Paesi più prossimi a quelli d’origine o già in quest’ultimi. Poi, per chi ha diritto all’asilo o un posto di lavoro che lo aspetta, il viaggio verso l’Europa va organizzato in condizioni sicure e degne. Per questo è fondamentale un efficace contrasto dei trafficanti e sfruttatori di esseri umani, vere e proprie organizzazioni criminali con tristi connessioni dai Paesi d’origine dei migranti, attraverso quelli di transito, fino ai nostri.
Sono obiettivi ambiziosi.
Realizzare questi obiettivi in cooperazione e condivisione fra gli Stati dell’Unione Europea e con l’intervento diretto delle sue istituzioni comuni rappresenta il punto focale del nostro impegno come governo italiano, nell’orizzonte di medio termine.
Nel breve periodo però la situazione è scoraggiante.
In questi ultimi tre mesi abbiamo sempre chiesto ad altri partner Ue di condividere l’accoglienza di chi è stato salvato in mare e ci siamo resi disponibili a fare altrettanto se un’analoga richiesta proveniva dai partner. Si è instaurata una positiva e innovativa prassi di aiuto reciproco.
Anche nel caso della nave Diciotti?
Nel caso della nave Diciotti abbiamo seguito la medesima linea, iniziando i consueti contatti bilaterali e domandando anche alla Commissione europea di coordinare l’azione; richiesta inedita che l’ha indotta, con senso di responsabilità ad attivarsi, in coerenza con lo spirito comunitario. Lo sforzo e i negoziati sono tuttora in atto e oggi (venerdì, ndr) si tiene a Bruxelles una riunione ad hoc straordinaria, convocata dalla Commissione per cercare di fare un passo in avanti.
Il ministro Salvini ha evidentemente usato in modo spregiudicato il caso Diciotti come fattore di pressione. La formula potrebbe anche essere rovesciata: facciamo sbarcare e nel frattempo agiamo con la moral suasion. Qual è la sua opinione in proposito?
Non dimentichiamo che per anni l’Italia ha salvato migliaia di vite umane; anche negli ultimi mesi abbiamo costantemente garantito assistenza a chi si trovava in mare e necessitava aiuto. Gli altri Stati europei lo hanno ampiamente riconosciuto, in più occasioni. Noi chiediamo che alle belle parole seguano fatti e atti concreti, di reale solidarietà. La nave Diciotti ha agito salvando quasi duecento persone e mostrando la prontezza umanitaria del nostro Paese. Ci saremmo aspettati un’effettiva e più rapida collaborazione degli altri Stati Ue per arrivare, il prima possibile, alla soluzione migliore.
E ipotizzabile la chiusura delle frontiere esterne della Ue?
Sicuramente vanno strutturati controlli più efficaci di queste frontiere e segnatamente di quelle marittime. Anche a tal fine bisogna agire a livello dell’Unione Europea, con il concorso di tutti i suoi Stati membri e dedicandovi risorse finanziarie del bilancio Ue, adeguate agli obiettivi di sicurezza che i cittadini ci chiedono. Occorre trovare opportune formule di interazione con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo.
Cito da una sua intervista del 2016 : “L’Europa spesso è sguarnita. Mentre sul piano dell’economia ha una sua scatola con tanti utensili (…) di fronte alle migrazioni ne ha pochi e dovrebbe mettersi subito a legiferare per dotarsene”. Che cosa serve esattamente?
La strada da percorrere resta lunga e poco è cambiato dal 2016. Purtroppo, l’Unione Europea ha fatto progressi scarsi e sporadici nell’obiettivo di dotarsi di una vera, genuina politica delle migrazioni. Un segnale arriva dalle più volte ricordate linee decise al Consiglio Europeo del giugno scorso. Sulla loro base, si deve agire in ambito legislativo per stabilire un necessario quadro di diritti e doveri con valenza giuridica che disciplinino un sistema organico di gestione delle migrazioni nei suoi vari momenti e profili; dei quali ho detto in parte rispondendo alla sua prima domanda. Stiamo insistendo al massimo in tutte le sedi perché si facciano veri progressi, tanto sul piano politico quanto sul piano giuridico e soprattutto degli effetti concreti.
Le regole non si possono cambiare senza alleanze politiche. Quali sono i nostri interlocutori privilegiati, in questo momento, tra Bruxelles e Washington, nella gestione del fenomeno migratorio?
L’Italia, come Stato fondatore dell’Unione, continua ad essere fortemente coinvolta nel progetto europeo. Ci sentiamo con tutti i partner Ue e siamo sentiti regolarmente da loro. Tuttavia non dobbiamo nasconderci che l’Europa vive una fase complessa, nella quale troppo spesso sembra perduto lo spirito collaborativo dei Padri fondatori. Abbiamo bisogno di ritrovare il loro coraggio e la loro lungimiranza. Un’Unione disunita, frammentata in alleanze “gruppettare” e bisticci vari, rischia di arenarsi e perde il supporto dei suoi cittadini.
E con gli Stati Uniti, ministro?
Con gli Usa abbiamo eccellenti rapporti, testimoniati dal successo della recente visita del presidente del Consiglio. In quell’occasione è stata sancita una significativa concordanza di vedute tra Italia e Usa anche per il Mediterraneo, che potrà avere benefici effetti per una stabilizzazione dell’area, cruciale per la nostra sicurezza.
C’è un confronto con i paesi di Visegrad? Con quali progressi?
Noi dialoghiamo con tutti i partner europei, naturalmente, inclusi i Paesi detti di Visegrad. Con questi, come con gli altri Stati, abbiamo punti di maggior confronto dialettico e punti di migliore convergenza, dipende dai temi. L’importante è che si trovino, quanto più possibile, spunti comuni e una volontà di dialogo che portino a contribuire al successo di una migliore integrazione europea.
In che cosa si differenzia la politica dell’Italia in Libia da quella della Germania rispetto alla Turchia dal punto di vista delle migrazioni? Cosa stiamo facendo?
Le due situazioni sono differenti, per la diversa situazione politica nei due Paesi. L’Italia è fortemente impegnata in Libia per sostenere l’impegno del suo popolo e delle sue istituzioni alla piena stabilizzazione del Paese. Auspichiamo che le autorità libiche possano intensificare una collaborazione con la Ue che possa contribuire a meglio gestire i flussi migratori, nella piena garanzia delle priorità umanitarie.
Da che cosa dipende l’attuale crisi politica europea? Dalla sua classe dirigente o dalle sue istituzioni e dalle sue regole?
Penso dipenda da più fattori. Siamo in una fase storica contraddistinta da fenomeni e sfide che l’Europa è chiamata ad affrontare. La globalizzazione ha fatto emergere nuovi, forti concorrenti degli Stati europei; la rivoluzione tecnologica impone un salto di qualità continuo di innovazione; i postumi della devastante crisi economica e finanziaria devono ancora essere interamente superati e le diseguaglianze sono aumentate fra i Paesi del vecchio continente; il cambiamento climatico determina anche da noi visibili conseguenze; la società europea invecchia e affronta una svolta anagrafica inedita. Tutto questo divide le percezioni e la sensibilità delle opinioni pubbliche dei vari Paesi d’Europa sui grandi temi di interesse generale. Tanti ricercano una risposta nella prospettiva nazionale; altri continuano a guardare all’unificazione europea come una prospettiva valida per il loro futuro. Il mondo evolve e corre, sempre più veloce, non ci aspetterà.
D’accordo, ma di fronte a questo quadro che cosa si deve fare?
È necessario un serio approfondimento, un dibattito civile profondo e basato su dati ben documentati. Dobbiamo animarlo ovunque, in tutti i Paesi, a ogni livello, coinvolgendo tutti noi cittadini, per prendere coscienza di dove potremmo essere senza l’Europa, di dove siamo, delle molte cose che dobbiamo cambiare. Poi decidiamo, insieme.
(Federico Ferraù)