Se l’ex Birmania ha compiuto un genocidio intenzionale contro il popolo musulmano dei Rohingya, la leader (oggi Consigliere di Stato della Birmania) Aung San Suu Kyi ne è se non la principale protagonista – questo non lo dice neanche il rapporto Onu – almeno una complice “pericolosa”. L’attacco durissimo contro la Premio Nobel per la Pace nel 1991 è stato impartito due giorni fa nel dossier Onu che mette inchiodato al muro la gestione del Governo di Myanmar in merito alla minoranza etnica dei Rohingya: in sostanza, mentre la donna si batteva per anni per i diritti umani nel suo Paese è come se avesse voltato lo sguardo da una piccola, ma comunque significativa, parte della Birmania che stava soffrendo come le altre. Secondo Medici Senza Frontiere, la repressione dello Stato di Rachide fu un bagno di sangue con circa «7mila membri di questa minoranza uccisi nel primo mese». In tutto questo, recita il rapporto delle Nazioni Unite, Aung San Suu Kyi è accusata di «non aver utilizzato la sua posizione de facto di capo del governo, né la sua autorità morale, per contrastare o impedire il dipanarsi degli eventi contro i Rohingya. Con atti e omissioni – concludono gli investigatori Onu – le autorità civili hanno contribuito al fatto che venissero commessi crimini atroci». (agg. di Niccolò Magnani)
STORIA DI UN POPOLO OPPRESSO DALLA NASCITA FINO ALLA MORTE
Tra i responsabili del genocidio dei Rohingya nel Myanmar c’è anche l’ex Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi: lo ha stabilito la commissione dell’Onu che ha pubblicato un rapporto a Ginevra chiedendo un processo davanti ad una corte internazionale. Come ricordato da Il Corriere della Sera, la minoranza musulmana dei Rohingya è composta da un milione circa di persone, che abitano (abitavano) nel Rakhine, la regione più povera di Myanmar. Nella regione arrivarono dal Bengala (ora Bangladesh) ai tempi dell’Impero britannico delle Indie, ma non sono mai stati accettati dalla maggioranza buddista del Myanmar, al punto che lo Stato non li considera suoi cittadini e non garantisce loro né l’istruzione né cure sanitarie. Per questo la commissione di Ginevra non ha dubbi:”Oppressione dalla nascita alla morte”. Già in passato vi erano state ondate di violenza, come nel 2012 e nel 2016, ma quella iniziata il 25 agosto del 2017 è stata secondo le Nazioni Unite “una prevedibile e pianificata catastrofe”. (agg. di Dario D’Angelo)
LA POSIZIONE DELL’EUROPA
Secondo la portavoce Ue Maja Kocijancic, la situazione al momento in Myanmar è e resta «estremamente grave ed ha la nostra piena attenzione»: parlando da Bruxelles, la responsabile degli Affari Esteri tra i massimi consiglieri di “Lady Pesc” Mogherini, ha poi spiegato come «Abbiamo visto il rapporto di oggi della missione di fact-finding delle Nazioni Unite (Onu). Stiamo analizzando il rapporto e avremo discussioni con i membri della missione nel corso della settimana. La situazione in Myanmar rimane estremamente grave ed ha la nostra piena attenzione». L’Unione Europea ha chiarito poi – non solo ora ma anche in passato – che «i responsabili di gravi e sistematiche violazioni di diritti umani devono essere assicurati alla giustizia». L’Onu questa mattina, nel diffondere il dossier sulla situazione attuale dell’ex Birmania, ha scritto che «chiunque voglia procedere contro il sistema birmano e persino contro la stessa leader Aung San Suu Kyi, è invitato a farlo». (agg. di Niccolò Magnani)
FACEBOOK RIMUOVE ACCOUNT MILITARI COINVOLTI
Dopo il report degli ispettori dell’Onu, che accusano i capi dell’esercito del Myanmar di aver violato i diritti umani a danno dei Rohingya, interviene Facebook. Il noto social network ha annunciato di aver cancellato in Myanmar 18 account e 52 pagine dalla propria piattaforma più un account Instagram, seguiti da quasi 12 milioni di persone. Almeno 12 dei profili bannati da Facebook, più l’account Instagram, sono riconducibili a persone e organizzazioni che secondo la commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite dovrebbero essere perseguite. Tra questi, come scrive Facebook in un post, il generale Min Aung Hlaing, comandante in capo delle forze armate, e il canale Tv Myawady television network, collegata all’esercito. «Vogliamo evitare che usino il nostro servizio – spiegano da Menlo Park – per alimentare ancora tensioni etniche e religiose», spiegano da Menlo Park. Le altre pagine invece sono state sanzionate per comportamento scorretto. «Durante una recente verifica abbiamo scoperto che usavano pagine di notizie e di opinioni per spingere in modo occulto i messaggi dei militari del Myanmar». (agg. di Silvana Palazzo)
COINVOLTI CAPI ESERCITO MYANMAR
Istituita nel marzo del 2017, la missione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha fatto luce sulla violenza perpetrata ai danni della minoranza musulmana dei Rohingya da parte dei leader militari della Birmania, che andrebbero processati e incriminati per genocidio e crimini di guerra. Una inchiesta durata oltre un anno, con centinaia di testimoni ascoltati, che ha coinvolto i capi dell’esercito del Myanmar ma anche il premio Nobel per la pace del 1991 Aung San Suu Kyi, rea di non aver utilizzato i suoi poteri per farmare gli eventi in corso nel Rakhine. Gli ispettori dell’Onu hanno documentato quanto accaduto, con uccisioni di massa e stupri che hanno fatto vittima i residenti negli stati anche del Kachin e dello Shan. (Aggiornamento di Massimo Balsamo)
ROHINGYA, ONU: “FU GENOCIDIO”
Rohingya, Onu: “militari birmani siano incriminati per genocidio”: questo quanto scritto nel rapporto della missione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. I leader militari della Birmania dovrebbero essere accusati per genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra: nel mirino il capo dell’esercito Min Aung Hlaing e altri cinque ufficiali. L’inchiesta internazionale sul Myanmar arriva a una svolta, dopo le indagini su omicidi, stupri e torture perpetrati contro i bambini, nonché sulla distruzione di interi villaggi. Sono stati ascoltati oltre 800 testimoni, tra cui cittadini bengalesi e di altri paesi asiatici: “l’azione militare è in gran parte sproporzionata rispetto alla realtà delle minacce”. Come sottolineato da Affari Italiani, gli investigatori hanno aggiunto che “ci sono abbastanza informazioni per perseguire alti funzionari nella catena di comando militare in modo che un tribunale competente possa determinare la loro responsabilità per il genocidio”.
L’ACCUSA DELL’ONU
E ci sono risvolti anche per il Nobel Aung San Suu Kyi, guida del governo civile: secondo il rapporto delle Nazioni Unite, avrebbe permesso la diffusione del discorso dell’odio, distruggendo documenti e non proteggendo le minoranze, tanto da non impedire la campagna di atrocità perpetrata. Contri i Rohingya, Aung San Suu Kyi non avrebbe infatti usato la posizione di capo del governo birmano de facto, né tantomeno la sua autorità morale, al fine di impedire gli eventi in corso dello stato di Rakhine. Secondo quanto contenuto nel rapporto, le autorità civili avevano sì poco margine, ma “attraverso le loro azioni e omissioni, le autorita’ civili hanno contribuito alla commissione dei crimini atroci””. Attesi aggiornamenti su una delle pagine più drammatiche della storia recente.