Oggi Salvini incontrerà a Milano il primo ministro dell’Ungheria Viktor Orban. In agenda il dossier migranti e le elezioni europee. Un appuntamento dal quale Di Maio ha preso le distanze, proprio a motivo delle politiche migratorie (no ai ricollocamenti) adottate da Budapest. Dalla “capitolazione” sul caso Diciotti a una scelta frettolosamente “orbanista” il passo potrebbe essere breve, secondo Paolo Quercia, analista di politica estera e direttore del Cenass.
Il caso della nave Diciotti ci restituisce un’Italia politicamente più debole o politicamente più forte all’interno dell’attuale situazione europea?
La forza dell’Italia verso l’Europa non è solo un esercizio di compattezza della linea del governo ma comprende anche il ruolo delle istituzioni e delle tecnostrutture. Purtroppo il caso Diciotti ha mostrato anche le spaccature e le divisioni del sistema Italia, che vede sul dossier migratorio più attori muoversi perseguendo agende diverse, con preoccupanti divergenze tra interni, guardia costiera, magistratura e con sullo sfondo una persistente assenza della politica estera, che si ritiene solo marginalmente lambita dal dossier.
E invece?
Io ritengo che solo un approccio di politica estera al dossier migratorio possa ridare unitarietà all’azione dell’Italia.
Qual è il suo bilancio della vicenda?
Il caso Diciotti ha mostrato la determinazione del governo italiano ad affermare la sua linea di non volersi fare carico dei migranti illegali salvati al di fuori della zona Sar italiana, ma anche l’insostenibilità di una politica di contenimento migratorio basata sostanzialmente sul divieto di sbarco. L’epilogo è stato difatti una intelligente capitolazione, mascherata dal sotterfugio del ricollocamento nelle strutture della Cei, ossia sempre in Italia.
E’ spuntata fuori persino l’Albania.
E’ un fatto positivo. Il suo ruolo in futuro potrebbe rivelarsi piccolo ma importante per tamponare momenti di crisi.
Ancora una volta l’Europa ha detto no alla ripartizione dei migranti. Le risulta che ci sia un interesse politico, in questa fase, da parte di Macron o Merkel a isolare il nostro paese?
Non credo che vi sia un interesse ad isolare l’Italia, semplicemente non vogliono saperne di caricarsi i problemi che derivano da flussi migratori che si riversano in maniera incontrollata e socialmente molto pericolosa sui Paesi del Sud Europa. Nelle stesse ore in cui si risolveva il caso della Diciotti la Merkel doveva fronteggiare una sorta di pogrom anti-stranieri a Chemnitz, in seguito all’accoltellamento di un cittadino tedesco da parte di rifugiti siriani e iracheni. Tendiamo spesso a dimenticare che i progetti di costruzione di società multiculturali in Francia ed in Germania solo falliti, così come è fallito quello inglese. Non c’è modo di far accettare ripartizioni se non puramente simboliche. In questo si sottovaluta che, retorica a parte, la posizione della maggioranza dei Paesi Ue nella sostanza non è dissimile da quella del cosiddetto blocco di Visegrad. Se l’Italia non riprenderà il controllo dei propri confini, si isolerà da sola dall’Europa o ne sarà estromessa.
Il governo ha annunciato di non versare più i fondi all’Unione Europea se l’Italia sarà lasciata sola. Un argomento che Bruxelles ha subito ribaltato contro di noi. Cosa ne pensa?
È una reazione comprensibile nel momento in cui l’Europa dimostra la sua insussistenza, ma di fatto è un segnale di debolezza, quasi di disperazione. Sarebbe meglio per l’Italia usare queste forme di pressione per mettersi alla guida di un’azione esterna della Ue per tentare di risolvere almeno una parte dei flussi migratori verso l’Italia, ad esempio quelli provenienti dall’Eritrea. Non sarebbe il momento per l’Italia di riprendere in mano questo dossier colpevolmente abbandonato, così come buona parte della nostra politica verso l’Africa? Su questo mi lasci dire che qualche sensibilità in più sulla nazionalità degli occupanti della nave Diciotti si poteva avere.
L’Eritrea è stata la prima colonia italiana. Intende dire che abbiamo una responsabilità storica?
Sì, perché qualcuno di quei migranti illegali potrebbe essere nipote di un nostro ascaro, di uno di quegli eritrei che l’Italia ha mandato a combattere in pressoché tutte le nostre guerre coloniali, Libia inclusa. Gli eritrei li abbiamo creati noi come popolo e nei loro confronti abbiamo delle responsabilità e dei doveri storici più forti di quelli umanitari che possiamo avere verso altre etnie africane.
La accuserebbero di discriminazione.
Io credo che se si creano le condizioni di politica estera è possibile fare delle discriminazioni positive nei confronti degli eritrei rispetto ad altre nazionalità. Anche questo è un modo di esercitare la propria sovranità sui confini. La sovranità non è dire sempre no a tutto ma anche discriminare chi può entrare con meccanismi semplificati e chi no, stabilire numeri e quote, redigere liste di Paesi sicuri ed insicuri, amici ed ostili. La sovranità prevede necessariamente anche dei margini di discrezionalità, che il governo deve usare con sapienza ed in funzione dell’interesse nazionale.
Oggi Salvini vedrà Viktor Orban a Milano. Con i paesi di Visegrad è possibile un’intesa?
Orban come “uomo nero” è in buona parte l’immagine confezionata da un integralismo europeista molto presente nella politica e nei media europei, che tende a colpire ed emarginare il dissenso politico profondo, ed ogni idea diversa di Europa che metta in discussione gli assetti ideologici, di potere ed economici che si sono sin qui solidificati. Per restare nell’area di Visegrad, prima di lui, la pecora nera di Bruxelles era Vaclav Klaus, il presidente della Repubblica Ceca. Si può dissentire con le idee di Orban, ma trovo perfettamente legittimo incontrarlo. La Merkel lo ha incontrato a luglio di quest’anno. Sono emerse politiche molto diverse sopratutto sul dossier migratorio, ma certamente entrambe legittime in un’Europa liberale.
Ma ci sono anche punti in comune con Berlino e Budapest, sembra dire.
Sì, perché il governo tedesco, seppur diviso da Orban su molti temi, condivide con l’Ungheria e con gli altri Paesi dell’Est un legame geopolitico profondo che non è mai venuto meno e che va oltre Orban.
Venendo all’Italia?
Per l’Italia sarebbe utile riscoprire il legame con l’Europa orientale, in parte perdutosi nel processo di europeizzazione della nostra politica estera. Oggi, nella crisi della Ue, esso può essere utile per dare una profondità strategica al nostro Paese nei confronti di Berlino e Parigi. Ma ha bisogno di una base geopolitica e non può essere costruito solo sul dossier migratorio o sull’orbanismo.
(Federico Ferraù)