Nonostante la pressante richiesta della Commissione d’inchiesta sugli abusi dei preti in Australia, la Chiesa Cattolica non recede di un passo in merito all’inviolabilità del segreto confessionale: sarebbe «un’intrusione dello Stato nel dominio del sacro», fanno sapere dalla Chiesa Episcopale Australiana (quella che da noi è la Cei, ndr). La Chiesa Cattolica, in soldoni, non accetterà la “raccomandazione” della Commissione Nazionale d’inchiesta sugli abusi sessuali, gravissimi, messi in atto anche da uomini di Chiesa negli scorsi decenni; la stessa chiedeva che i sacerdoti potessero rivelare informazioni apprese durante la confessione per “combattere” la pedofilia fin sul nascere. Invece proprio questa “intrusione” metterebbe a serio rischio la libertà religiosa e personale, anche di fronte ad un crimine abominevole: la risposta formale dei vescovi australiani giunge a quasi nove mesi da quando la commissione ha presentato 122 richieste per poter favorire le indagini. Non è infatti con la “delazione” che si combatte un fenomeno grave e annoso come quello degli abusi su minori da parte del clero, bensì – come ha ricordato lo stesso Papa Francesco nella lunga lettera “Al Popolo di Dio” sul crimine della pedofilia, «E’ imprescindibile che come Chiesa possiamo riconoscere e condannare con dolore e vergogna le atrocità commesse da persone consacrate, chierici, e anche da tutti coloro che avevano la missione di vigilare e proteggere i più vulnerabili. Chiediamo perdono per i peccati propri e altrui. La coscienza del peccato ci aiuta a riconoscere gli errori, i delitti e le ferite procurate nel passato e ci permette di aprirci e impegnarci maggiormente nel presente in un cammino di rinnovata conversione».
IL DRAMMA DEGLI ABUSI E L’INTRUSIONE DELLO STATO
Intanto il presidente della Commissione Episcopale australiana, Mark Coleridge, ha fatto sapere nella nota in cui respinge la “richiesta” della procura di Sydney, «Sarebbe contrario alla nostra fede e ostile verso la libertà religiosa. Siamo impegnati alla salvaguardia dei bambini e delle persone vulnerabili, pur mantenendo il sigillo della confessione. Non vediamo le due cose come mutualmente esclusive». Non solo, la commissione d’inchiesta ha anche “avanzato” (ma senza prove consistenti) che vi sia un problema tra il celibato obbligatorio dei sacerdoti e il concetto stesso di abusi pedofili: «La formazione iniziale e continuata dei sacerdoti sulla vita di celibato può aver contribuito a un maggior rischio di abusi sessuali a minori – ha ammesso Coleridge – tuttavia la Commissione d’inchiesta non ha accertato una connessione causale fra celibato e abusi». L’impegno è un “never again” rilanciato tanto dal Papa quanto dai vescovi australiani: «troppi preti, religiosi e laici in Australia hanno mancato al dovere di proteggere e onorare la dignità dei bambini. Molti vescovi hanno mancato di ascoltare, di credere, hanno mancato di agire – ha aggiunto Coleridge – Queste mancanze hanno permesso ad alcuni molestatori di offendere ripetutamente, con conseguenze tragiche e a volte fatali», ma ora è giunto il momento per cui tutti si possa collaborare per evitare insabbiamenti, inoltre «non vi saranno trasferimenti di persone accusate di abusi, non si proteggerà la reputazione della Chiesa a spese della sicurezza dei minori» ha concluso Coleridge.