Ai Weiwei, artista e performer cinese, perde il suo atelier nella periferia di Pechino. È egli stesso a renderlo noto: “Oggi hanno iniziato a demolire il mio studio senza che prima venissi informato”. Venti i video postati a prova del misfatto. Tra questi, uno mostra un bulldozer che manda in frantumi le finestre della galleria. Il fabbricato, “un edificio industriale nello stile socialista della Germania dell’Est”, è stato raso al suolo tra le polemiche. Il blogger e architetto sarebbe una persona “scomoda” agli occhi del governo. Le opere grandiose (tra le altre, il “nido d’uccello” inaugurato alle Olimpiadi) non sono bastate a concedergli la benemerenza della politica. Weiwei è di fatto il personaggio più dissidente e impegnato del panorama culturale cinese. Più volte è stato censurato, intimidito, finanche incarcerato. Oggi è libero, ma sorvegliato speciale.
LE CAUSE DEL DISSIDIO
La sua posizione “contraria” divenne chiara nel 2008, all’indomani del terremoto a Sichuan. L’artista – reclutato in rete un gruppo di volontari – diede inizio a una serie di investigazioni sulle cause della tragedia. I risultati furono sconcertanti: scuole e ospedali, a suo dire, apparivano come “costruzioni di tofu”. Alle dichiarazioni seguì la Lista della Morte, un lungo elenco provocatorio contenente i nomi dei bambini scomparsi. La denuncia determinò un’importante mobilitazione; severissima la risposta della polizia cinese. Già nel 2011, le autorità cinesi avevano demolito il suo studio di Shangai. Critico feroce del governo, l’artista è stato costretto agli arresti domiciliari per quattro anni fino al 2015.