Caro direttore, una decina di giorni fa mi trovavo al porto di Raffina dopo aver attraversato le varie pinete e quartieri residenziali che lo circondavano. Di essi è rimasto poco o niente, come mi hanno comunicato gli amici greci che mi accompagnavano. Ho seguito le notizie avidamente in questi giorni: due aspetti mi hanno colpito e si sono intrecciati con le mie recenti esperienze in Grecia.



Primo, personalmente ho sentito il ritardo di un’azione concreta da parte dell’Ue rispetto alla situazione greca, che è precipitata con tremenda rapidità, come un certo abbandono. Certamente ingenti sforzi europei sono stati impegnati con gli incendi in Svezia, certamente vi è una procedura dell’Ue da seguire, tuttavia mi pare ci sia stata poco tempestività per questa situazione tragica. Il Primo ministro greco ha dovuto inoltrare una richiesta di aiuto formale perché si attivasse il meccanismo unionale europeo di Protezione civile laddove Spagna, Cipro e Bulgaria hanno immediatamente offerto assistenza concreta con mezzi aerei antincendio, vigili del fuoco e veicoli. Mentre la Grecia bruciava, puntualmente arrivavano i telegrammi di solidarietà dei vari paesi, i diversi tweet con i quali ora si comunica nel mondo.



Secondo, si parla di incendi di natura dolosa e ancora una volta reagisco: è da tempo che questo problema esiste, cosa fa il sistema giudiziario greco a proposito? Ho ricordato i vari viaggi negli anni quando rimanevo colpita ripetutamente da montagne che prima erano verdi e poi bruciate, e da un apparato di giustizia che tardava ad agire. Com’era possibile che si ripetesse lo stesso fenomeno periodicamente? Quello che era stato un problema “limitato” nel passato, questa volta è sfuggito di mano anche per una Protezione civile greca indebolita da anni di austerità, come ricordatoci da Paolo Annoni su queste pagine.



Per quanto riguarda il problema della giustizia in Grecia, ho pensato alla mia recente esperienza quando volevo presentarmi alla polizia per riportare un fatto increscioso accadutomi la notte prima della mia partenza dall’isola dove avevo soggiornato. Il figlio della famiglia albanese che affittava l’appartamento al pian terreno dell’edificio dove alloggiavo, aveva cercato di entrare nella mia stanza alle tre del mattino. Lo avevo scoperto senza che lui lo sapesse e il giorno dopo lo avevo riferito ai miei amici greci. Andare dalla polizia era fuori luogo, come mi avevano detto, perché la procedura sarebbe stata molto lunga e noi dovevamo partire nell’arco di poche ore. Il marito della mia amica era andato allora a parlare con il proprietario che all’inizio aveva cercato di minimizzare l’accaduto, ma quando aveva sentito che ne avrei scritto su Tripadvisor, aveva reagito. Si era recato dalla polizia e insieme a un poliziotto erano andati poi a parlare con il giovane in questione. Essendo una piccola comunità, la giustizia la si poteva gestire così. Ma come fa un Paese ad assorbire immigrati e diverse culture, quando le proprie strutture già sono fragili?

Sul traghetto di ritorno, che mi portava al Pireo, avevo chiesto a una ragazza greca informazioni sul porto. Con quella magnifica ospitalità greca mi aveva assistito in tutto, come se fossi una vecchia amica. Mi aveva anche messo in guardia dai bambini nomadi che correvano per il porto, “Sono belli”, mi aveva detto, “ma attenta che ti derubano”. Poi mi aveva accompagnato a comprare il mio biglietto per l’aeroporto e quando il bigliettaio mi aveva detto che non aveva da cambiare, mi aveva dato persino l’euro mancante. Nel salutarci mi aveva dato una grande stretta di mano e se ne era andata. Ero rimasta un momento a guardarla andare via, pensando a quello che mi aveva detto prima: voleva emigrare, andarsene in Australia o in Scozia. La Grecia nella sua incertezza e caos non funzionava più.